Giovedì 18 Aprile 2024

'I Balzini', 35 anni dalla prima vigna: l'azienda lancia sul mercato il Gold Label

La sua etichetta d’oro zecchino sbalzata nel vetro di una bottiglia pesante e scura. Vino setoso e morbido, di profumi e dolcezze, di lunghezza e corpo, per il quale si può prevedere lunga vita. Poche carissime bottiglie, forse seicento tra bordolesi e magnum di Paolo Pellegrini

I Balzini, azienda vinicola

I Balzini, azienda vinicola

Milano, 18 aprile 2015 - E' d'oro  il “vino delle donne” ai Balzini, piccola splendida azienda dalle parti di Barberino Val d’Elsa. No, anzi: dalle parti di Semifonte, la piccola Semifonte che osò sfidare lo strapotere di Fiorenza, avviata a diventare la capitale del mondo nel Trecento. Una sfida naufragata in un terribile bagno di sangue, solo parzialmente risarcito, un paio di secoli dopo, con la costruzione di una cappella con la cupoletta che riproduce in scala quella del Brunelleschi a Santa Maria del Fiore.

I Balzini, la famigliaEcco, lì a due passi c’è I Balzini. Nomen omen, si potrebbe anche azzardare; e non a caso, se il giallista fiorentino Mario Vichi ne ha fatto una deliziosa licenza, nella più recente delle storie interpretate dall’ormai celebre Commissario Bordelli, “Fantasmi del passato”: al poliziotto in cerca di informazioni in quella zona, qualcuno segnala appunto “I Balzini” per l’acquisto di un buon vino. Ma l’azione si svolgeva nel ’67, e avevano da passare anni prima che Vincenzo D’Isanto (nella foto a destra con la famiglia), un noto commercialista fiorentino, comprasse e poi piantasse.  Perché la prima vigna nasce nell’Ottanta, ai Balzini: nomen omen, certo, se “balzi” sono i terreni a terrazze, appunto a balze naturali, così tipici in tanta parte della campagna toscana e chiantigiana in particolare.

E qui si chiude il cerchio del “vino d’oro”. Non senza l’entrata in campo, però, di almeno altri due personaggi. Le donne, già: Antonella D’Isanto, la moglie di Vincenzo; e Barbara Tamburini, la giovane enologa dagli occhi e dai modi graziosi e teneri ma capace di calcoli spietati, fino a determinare ora e minuto – anche di notte, che importa – in cui iniziare a raccogliere, trasferire un vino in barrique, o chissà che altro.  Dopo quella vigna ne sorgono altre, ne nasce l’arcobaleno di colori e di prodotti, la gamma dei Balzini comprende un White Label di Sangiovese e Cabernet, un Black Label di Cabernet e Merlot, un Red Label con i tre vitigni al 33 percento ciascuno, un Green Label di Sangiovese e Mammolo omaggio di Isabella alla figlia Diana e alla sua generazione di giovani in avvicinamento al vino, un Pink Label rosé di Sangiovese e Merlot “per non abbinare – spiega Antonella – a una zuppa di pesce il solito Pinot noir”.

Antonella D'IsantoSono passati gli anni, da “signora con la valigina” sempre in giro per fiere a promuovere i suoi vini Antonella (nella foto a sinistra) è diventata l’imprenditrice e l’anima dei Balzini (“ma il mio consigliere resta sempre Vincenzo, di lui mi fido ciecamente, a lui chiedo sempre consiglio”, ammette con un sorriso di tenerezza). Il cerchio doveva chiudersi con qualcosa di importante, di nobile davvero, per festeggiare: occasione, proprio i 35 anni di quella prima vigna. Di quelle viti di Merlot piantate lì “perché il Sangiovese non ci viene”, aveva sentenziato Giulio Gambelli, il celebre “Bicchierino” che del Sangiovese è stato il principe incontrastato e incontestabile, nel Chianti.  Ed ecco Gold Label. Merlot in purezza da piante quasi antiche, alla francese, se è vero che Luca Gardini, sommelier campione del mondo ma anche estroso e vivace comunicatore, ne ha poi detto “Se si guarda a quello che dice il bicchiere sembra di stare in Pomerol”. Ma anche alla toscana: il sistema di allevamento riporta indietro nel tempo, diradamento dell’apparato di radice per scendere sempre più nel terreno,è appunto il “capovolto toscano”.

I Balzini barriquesEccolo, il Gold Label, presentato ai giornalisti in un pranzo all’Enoteca Pinchiorri, tempio fiorentino tristellato della cucina d’altissimo livello, accompagnato a un piatto di memorie rinascimentali come l’anatra al miele e spezie con agretti e (licenza non rinascimentale) composta di pomodoro affumicato. Ecco il Gold Label, la sua etichetta d’oro zecchino sbalzata nel vetro di una bottiglia pesante e scura, capolavoro di eleganza e raffinatezza rifinito da un tappo in sughero portoghese frutto di lavoro manuale e artigianale. Vino setoso e morbido, di profumi e dolcezze, di lunghezza e corpo, per il quale si può prevedere lunga vita. Poche, pochissime bottiglie, forse seicento tra bordolesi e magnum. Caro, carissimo. Ma è il destino dei re.

di Paolo Pellegrini