Martedì 23 Aprile 2024

Ttip, i segreti di un trattato che crea l'EurAmerica

Da 3 anni le delegazioni dell'Ue e degli Usa negoziano in segreto sull'eliminazione dei dazi doganali e sugli investimenti da tutelare da una parte all'altra dell'Atlantico

Attivisti di Greenpeace proiettano sul German Reichstag parte del testo del Ttip (Ansa)

Attivisti di Greenpeace proiettano sul German Reichstag parte del testo del Ttip (Ansa)

Roma, 18 maggio 2016 - Difficile che quel trattato abbia la firma di Barack Obama in calce. Troppi nodi da sciogliere, troppi punti di contrasto tra la delegazione americana e quella europea, per arrivare alla ratifica prima della fine del mandato presidenziale. Contrasti acuiti dalla pubblicazione di documenti riservati da parte di Greenpeace, che evidenziano come il trattato metterebbe a rischio l’ambiente e la salute dei cittadini europei, se passassero le norme sugli Ogm in agricoltura o sulla fine del principio di precauzione.

Ma cos’è il Ttip e perché tanti ne parlano male? Perché da tre anni i negoziati sulla partnership transatlantica per il commercio e gli investimenti (Ttip appunto), avviati da Obama e dal presidente (nel giugno 2013) della commissione Ue Barroso, accendono dibattiti virulenti, manifestazioni e proteste che fanno traballare i governi? L’obiettivo del trattato è creare una grande zona di libero scambio, un’area senza dazi doganali, nella quale gli investimenti si muovano liberamente da una parte all’altra dell’Atlantico, i prodotti si vendano senza ostacoli, le aziende e i lavoratori abbiano le stesse legislazioni di riferimento. 

Per i sostenitori del trattato, che cambierebbe la vita di 820 milioni di persone e inciderebbe su due economie che rappresentano più del 40% del Pil mondiale, i benefici sarebbero indiscutibili: il Pil europeo e statunitense crescerebbero dello 0,5% all’anno, per l’Europa i vantaggi sarebbero pari a 120 miliardi di euro, per gli Usa di 95 miliardi. Eliminazione di tutti i dazi sugli scambi bilaterali di merci, con clausole antidumping; liberalizzazione di tutti i servizi, eccetto quelli audiovisivi; apertura di tutti gli appalti pubblici, in modo che aziende europee possano partecipare a gare americane e viceversa; investimenti tutelati, con la nascita di un arbitrato internazionale tra Stato e imprese (si chiama ISDS) meccanismo contestato perché consente alle multinazionali, di fare causa ai governi. In teoria tutte le aziende guadagnerebbero dall’eliminazione dei dazi, che però sono già bassi tra Usa e Ue. Anche gli altri ostacoli, come contingentamento o regolamenti, aprirebbero i due grandi mercati e limiterebbero gli ingressi esterni, da Cina e Sud est asiatico in primis.

Per la grande finanza e le multinazionali che vogliono investire, poi, l’EurAmerica sarebbe il mercato ideale dove investire a piacimento, avendo l’arma di riserva dell’arbitrato internazionale. Non a caso, a favore della firma, ci sono le grandi banche internazionali, i centri ricerca e i fans degli investimenti stranieri. Quali sono i punti oscuri? Tanti, non solo quelli evidenziati da Greenpeace. La scelta di negoziare in gran segreto (le trattative riprenderanno a giugno) ha alimentato la letteratura del complotto. La riduzione dei controlli su alimenti e farmaci spalancherebbe le porte dell’Europa alle colture Ogm (punto controverso ) e a prodotti potenzialmente pericolosi, che oggi vengono tolti dal mercato in base al principio di precauzione, ovvero se non è scientificamente provato che quel prodotto è sicuro. I rischi per la finanza sono quelli di bolle che scoppierebbero senza freni, ma anche di broker e banche che farebbero affari di platino. Per i lavoratori il timore è di una attenuazione dei diritti acquisiti, con aziende e posti di lavoro traslocabili da una parte all’altra dell’Atlantico, con la legislazione statunitense meno garantista di quella europea. I francesi, poi, temono un’emorragia di occupati per la scomparsa della preferenza nazionale sulle forniture e appalti pubblici. Gli italiani invece fanno barricate a difesa dei prodotti a denominazione d’origine controllata; Igp e Doc sarebbero annacquate dal trattato, che riconoscerebbe solo pochissime delle centinaia di produzioni tipiche italiane. 

Infine l’obiezione principale: il trattato è disegnato su misura delle corporation. Niente limiti, burocrazie ridotte al minimo, ampia capacità di manovra e di scelte strategiche (chiusure di siti e delocalizzazioni potrebbero essere una costante) e, soprattutto, facoltà di poter fare causa a uno Stato, reo di boicottare un investimento. Gli oppositori citano la causa della Philips Morris contro le campagne antifumo di Uruguay e Australia. Condanne e risarcimenti miliardari per Stati che hanno avuto l’ardire di voler difendere i diritti alla salute dei cittadini. Non è un bel preambolo per un trattato storico.

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