Giovedì 18 Aprile 2024

Tra Waterloo e le elezioni

Andrea Cangini

LA MATTINA della battaglia di Waterloo, Napoleone Bonaparte era di ottimo umore. Sereno e ottimista come al solito. Addirittura scientifico: «Abbiamo ottanta possibilità su cento di vittoria», disse al maresciallo Ney osservando dall’alto il campo di battaglia. Di lì a poco Ney si lanciava contro il nemico brandendo una spada spezzata («venite a vedere come muore un maresciallo di Francia!», furono le sue parole secondo l’epica ricostruzione di Victor Hugo) mentre l’Imperatore, sconfitto, si avviava verso un definitivo esilio dal mondo e dalla gloria. Napoleone aveva fatto la Storia, ma il suo tempo era passato. «Si preparava allora un’altra serie di fatti dove per lui non c’era più posto», chiosò Hugo.  Ieri, Matteo Renzi è tornato in scena, sereno e ottimista come al solito. Come al solito ha bistrattato gli avversari interni ed esterni, come al solito ha dileggiato «gufi e pessimisti», come al solito ha promesso un futuro radioso agli italiani. Renzi si illude al pari del Bonaparte? Difficile crederlo. Napoleone era reduce da una campagna militare vittoriosa, Renzi è invece reduce da una serie di batoste elettorali (le ultime regionali, con relative amministrative) e politiche (l’irrilevanza italiana in sede europea sull’immigrazione, sulla Libia, sull’Ucraina). 

NAPOLEONE poteva contare sull’eroica fedeltà di tanti Ney, Renzi rischia di assistere alla ribersanizzazione di tanti attuali renziani. Napoleone aveva conquistato un impero, Renzi non è riuscito a conquistare neanche il Pd, la cui minoranza lo attacca ormai persino sulla materia elettorale. Davvero il premier-segretario pensa di poter andare avanti così senza colpo ferire e soprattutto senza logorarsi giorno dopo giorno? Forse no, anche perché, a ben guardare qualcosa nel suo approccio è cambiato. Matteo Renzi, ieri tra Romagna e Marche, dopo averlo ostentatamente ignorato, si è evidentemente posto il problema della tenuta politica delle ‘regioni rosse’. Dopo averle sistematicamente snobbate, passerà in rassegna le Feste dell’Unità. Dopo essere quasi scomparso dai territori, animerà cento comizi in altrettanti teatri italiani. Insomma, si sta ponendo il problema del consenso. In altre parole, a costo di apparire brutali: Matteo Renzi ha cominciato ieri la campagna elettorale. È quel che sembra. È quel che sussurrano ai cronisti diversi renziani di prima fascia. Ma poiché Renzi viene dalla terra di Machiavelli, si è assaliti dal sospetto che la voce venga messa in circolazione ad arte nella speranza di far abbassare la cresta alla minoranza bersaniana. Anche fosse, cambierebbe poco. Per come si sono messe le cose, infatti, o Bersani e compagni lo lasciano governare, e dunque non gli boicottano la riforma del Senato, oppure è chiaro che le elezioni anticipate sarebbero per Renzi l’unica speranza. Nel dubbio, il premier fa il possibile per mietere consensi. Diceva Napoleone che «con le baionette si può fare di tutto, ma non sedercisi sopra». Come, dunque, un generale con un esercito forte è in un certo senso obbligato a fare la guerra, un premier debole con un consenso crescente è obbligato ad anticipare le elezioni. Il punto, ora, è vedere se il consenso in effetti crescerà.