Giovedì 18 Aprile 2024

Toni Servillo, maestro mattatore: "Quando recito trasmetto energia"

Laurea ad honorem per il protagonista della “Grande Bellezza”

Toni Servillo (Ansa)

Toni Servillo (Ansa)

CLAUDIO CUMANI

Bologna, 25 febbraio 2015 - DOTTORE in Disciplina delle Arti, Musica e Spettacolo. Toni Servillo, dopo la gioia dell’Oscar conseguito con “La Grande Bellezza”, conoscerà sabato nell’aula magna dell’università di Bologna la soddisfazione dell’accademico. Sarà il rettore Ivano Dionigi, suo vecchio amico, a consegnargli la prestigioso pergamena. La data è stata decisa perché concomitante con le repliche allo Storchi di Modena di “La parola canta”, il recital di canzoni e poesie napoletane che lui sta portando in giro con il fratello Peppe dopo la trionfale tournée de “Le voci di dentro” di Eduardo.

Che effetto le fa essere dottore?

«Sono onorato e ringrazio il rettore e il senato accademico per questo privilegio. L’Università di Bologna ha inventato il Dams in Italia, che è stato il punto di riferimento per migliaia di giovani. E’ un merito di imprescindibile importanza di cui andare fieri. Conseguire qui una laurea honoris causa come Leo de Berardinis e Martin Scorsese, è davvero fonte di gioia».

Che cosa la lega a Bologna? Gli inizi con Leo, il rapporto con il rettore, le serate nei teatri?

«Tutto questo. Ma anche il personale e delicato ricordo di un grande amico quale era Lucio Dalla».

Quali temi toccherà il suo intervento in aula magna? Forse la grande lezione che viene dal teatro in questi tempi bui?

«Aprirò, con le parole di De Berardinis, il mio intervento sul teatro inteso come assemblea con al centro l’uomo. E affronterò alcuni aspetti legati al ruolo dell’attore e alle sue scelte sia per quanto riguarda i testi e gli autori sia per quello che investe la pratica quotidiana del mestiere».

In confidenza come è cambiata la sua vita artistica e personale dopo l’Oscar?

«In confidenza, non è cambiata. Di certo non ci penso la mattina quando mi sveglio. So di essere stato fortunato perché ho incontrato grandi registi che mi hanno permesso di ottenere riconoscimenti internazionali. L’Oscar è uno di questi, mi pareva un sogno irrealizzabile. Lo ammetto, il successo mi fa piacere ma praticare la poetica quotidiana del teatro serve a darmi equilibrio, a fissare dei limiti. Ho accompagnato Paolo Sorrentino a Los Angeles senza interrompere le mie repliche: finito lo spettacolo sono partito per Los Angeles e sono tornato giusto in tempo per andare in scena».

Quali sono i progetti di cui può parlare? Il nuovo film o il prossimo spettacolo teatrale?

«Non c’è ancora nulla di definitivo. Sto studiando alcune sceneggiature e raccogliendo le idee, ma direi che è prematuro parlarne. Fino ad aprile siamo in tournée in Italia all’estero con Peppe ne “La parola canta”».

Dopo 350 repliche de “Le voci di dentro”, ecco questo nuovo spettacolo. Eduardo, Viviani, Moscato... Come si può raccontare una città come Napoli, i suoi poeti, i suoi silenzi, la sua vita?

«Ponendosi con umiltà al cospetto della sua grandezza, della ricchezza culturale che ha espresso ed esprime e, per quello che mi riguarda, cercando di restituire questa ricchezza, di trasmetterla in giro per il mondo nei suoi aspetti più nobili, riflessivi, tragici, rifuggendo le obsolete icone della napoletanità».

Per quanto proseguirà ancora il suo sodalizio con Peppe? Su quali forti pilastri si regge?

«Siamo cresciuti in una famiglia di spettatori e di grandi appassionati di teatro e di musica. Peppe, poco più giovane di me, era stato attore in alcuni dei miei primissimi spettacoli a Caserta. Poi ha iniziato la sua attività di cantante fondando la Piccola Orchestra Avion Travel. Ci assomigliamo, ci capiamo, condividiamo la stessa cultura. C’è un codice familiare che ci lega, un legame fraterno che si è consolidato con le nostre reciproche scelte. Per “Le voci di dentro” ho pensato subito a lui».

Che effetto fa aver iniziato da autodidatta e essere arrivato a questo punto?

«Devo dire che quando ho cominciato nella seconda metà degli anni Settanta lo speravo. Vede, io ritengo che l’attore sia un accumulatore di energia, come una pila. E credo che questa energia, che è fatta di un impasto di vita, di letture, di personaggi, di battute, e quindi poi di tinte, di colori, di emotività, di pensieri, di idee sia, a un certo punto, una riserva che poi sul palcoscenico si trasmette agli spettatori. Cerco di conservarla, questa energia».

Si può dire che i suoi segreti siano il lavoro e l’umiltà?

«Si può dire».