Strategia del dialogo

QUELLA LIBICA è una débâcle colossale per alcune cancellerie europee. In primis dei francesi, che fortemente vollero con gli inglesi la guerra del 2011 per cacciare Gheddafi (e favorire un ridimensionamento dell’Eni a favore della Total) e oggi se ne vanno con le pive nel sacco, abbandonando il loro disegno strategico e rimpatriando gli ultimi 40 connazionali, ambasciatore compreso. Il paese è passato dalla padella alla brace, dalla brutale ma stabile dittatura del Colonnello al caos, basti pensare che volenterosi ricercatori strategici contano oggi tra le 1.200 e le 1.600 milizie, tra fondamentaliste, laiche, tribali e quant’altro, l’un contro l’altra pesantemente armate. Non è (ancora) la Somalia, ma potrebbe diventarla specie se i jihadisti di Ansar Al Sunna non verranno fermati in tempo (dai libici, sia chiaro). In un quadro come questo la tentazioni di andarsene lasciando il Paese in rovina, preda di una guerra civile nella quale nessuno ha la forza di prevalere, non è la soluzione.  L’ESEMPIO dell’Iraq, dove non si è saputo fare altro che lasciare un campo di macerie dopo una guerra sbagliata costata 200mila morti e oltre 1,7 trilioni di dollari, dovrebbe servire di esempio: se si interviene, non basta eliminare un dittatore (Saddam, Gheddafi) bisogna lavorare al dopo, creando un governo credibile. Possibilmente avendo già prima dell’intervento una strategia precisa che valuti pro e contro. Altrimenti è meglio soprassedere come si è fatto, saggiamente, in Siria. È per questo che la pur rischiosa strategia italiana di mantenere aperta la nostra ambasciata, affidata a un diplomatico esperto come Buccino Grimaldi, è con ogni probabilità quella giusta. L’Italia era con Gheddafi e ha saputo diventare con il governo post gheddafiano, alla faccia di francesi e inglesi, un interlocutore importante. Cercare di favorire chi oggi cerca il dialogo e farlo dall’ambasciata affacciata sul mare di Tripoli non è un esercizio di multilateralismo buonista. Aiuta il popolo libico, ma aiuta anche i nostri interessi strategici. Dopotutto con Lampedusa siamo il paese più vicino alla Libia e in Libia abbiamo grandi interessi economici, petroliferi e non. Restiamo perché a pagare il prezzo di una Somalia 2.0 nel Mediterraneo saremmo in primis noi.