Martedì 23 Aprile 2024

Tour, l’ultima in montagna a Izaguirre. Tutto (troppo) facile per Froome

Il basco della Movistar vince in solitaria a Morzine, dopo aver staccato Pantano e Nibali in discesa. Crolla Aru. Nel gruppo dei migliori Rodriguez è l’unico ad attaccare.

Ion Izaguirre, vincitore della 20^ tappa del Tour de France (© ASO)

Ion Izaguirre, vincitore della 20^ tappa del Tour de France (© ASO)

Morzine, 23 luglio 2016 – Ion Izaguirre si è aggiudicato la ventesima e penultima tappa del Tour de France, da Megève a Morzine di 146,5 km. Il corridore della Movistar, tra i protagonista della fuga che ha animato l’ultima tappa alpina di questo Tour, ha prima ricucito il distacco che lo separava da Julian Alaphilippe, Jarlinson Pantano e Vincenzo Nibali, a lungo in testa sulle rampe del Col de Joux Plan, e poi li ha staccati nella successiva discesa bagnata, arrivando tutto solo al traguardo di Morzine e salvando il Tour della proprio squadra. A 19” Pantano (tre secondi posti e una vittoria per il colobiano, tra i più positivi di questa Grande Boucle), a 42” un Nibali non a proprio agio su uno dei propri terreni preferiti, la discesa, forse a causa della caduta di ieri o più probabilmente per la ferma volontà di non compromettere il proprio avvicinamento all’appuntamento olimpico del prossimo 6 agosto. In quest’ottica, i segnali lanciati da Nibali quest’oggi sono più che confortanti: la crescente brillantezza in salita dello Squalo dello Stretto non può che far ben sperare il c.t. Davide Cassani, che avrà le prossime due settimane per lavorare con il proprio capitano e con gli altri componenti della selezione azzurra per rifinire il lungo lavoro che speriamo possa portare alla conquista della medaglia d’oro.

A poco più di quattro minuti da Izaguirre, Daniel Martin ha regolato allo sprint il gruppo della maglia gialla Chris Froome, al termine di una tappa in cui l’unica squadra a cercare di fare la corsa è stata l’Astana. Come ieri, gli uomini di Beppe Martinelli hanno lavorato a lungo per Fabio Aru, a caccia di una posizione tra i primi cinque della generale. Peccato che il capitano della formazione kazaka sia incappato in una delle giornate più nere della sua ancor giovane carriera: sulle prime rampe del Col de Joux Plan, l’ultima ascesa di giornata, il vincitore dell’ultima Vuelta ha alzato bandiera bianca, probabilmente vittima di una crisi di fame, arrivando al traguardo a più di 17’ da Izaguirre. A dire il vero, già in precedenza lo scalatore sardo non aveva dato segni di particolare brillantezza e forse l’Astana avrebbe fatto meglio a non forzare l’andatura in gruppo, ma non ce la sentiamo di gettare la croce addosso a una delle poche squadre che ha provato a fare la corsa, a dispetto della netta superiorità della squadra della maglia gialla.

Vero, la maglia gialla del capitano del Team Sky era di fatto intoccabile, ma dagli altri uomini di classifica era lecito attendersi un po’ più di battaglia per le posizioni sul podio e in top ten. Gli unici a provare qualcosa, invece, sono stati due corridori che stamattina erano fuori dai primi dieci: Roman Kreuziger si è mosso dai primi chilometri della tappa, entrando nella fuga di giornata e beneficiando dello straordinario supporto di un Peter Sagan capace di rendersi nuovamente protagonista, anche in una tappa non adatta alle sue straordinarie doti; Joaquin Rodriguez ha invece aspettato le rampe del Joux Plan per attaccare, rosicchiando una cinquantina di secondi agli uomini di classifica e issandosi al settimo posto della generale, in quello che sarà l’ultimo Tour della sua carriera. Che a muoversi siano stati solo due dei corridori più esperti del gruppo non è affatto un buon segnale: ok, in molti – Quintana, Yates, Meintjes e lo stesso Bardet, protagonista ieri, oltre ai dispersi Mollema e Aru – sono arrivati al termine di questa (noiosa, a dire il vero) quattro giorni con la spia della riserva accesa, ma davvero non valeva la pena provare l’impresa per far saltare la corsa? Difficile pensarlo, ma comunque spiace vedere le giovani leve del ciclismo crescere con un atteggiamento così sparagnino e remissivo.

I numeri, in quest’ottica, non mentono: era dal 2008, anno del Tour vinto da Carlos Sastre (considerato uno di quelli di livello più basso della storia), che il distacco tra il primo e il decimo della generale era inferiore ai dieci minuti (7’11” il distacco di Kreuziger, decimo, da Froome); ancora più emblematico il risicato distacco tra il secondo della generale, Romain Bardet, e lo stesso Kreuziger: appena tre minuti e sei secondi, una distanza inusuale anche per le corse di una settimana più dura. Senza dimenticare, infine, che lo stesso campione ceco ha iniziato questo Tour come gregario dello sfortunato Alberto Contador, in una delle fasi meno positive della propria carriera. Insomma, il Tour non è stato solo brutto da vedere, ma anche di un livello più basso rispetto agli altri degli ultimi anni. Forse, è giusto sottolinearlo, ha pesato anche la scelta (a posteriori sbagliata) del grande capo Proudhomme di disegnare un percorso monocorde, ricco di tappe di montagna ma povero di salite in grado di fare per davvero la differenza (il dimezzamento del Ventoux, va detto, ha pesato su questa valutazione) e di frazioni miste.

Sia chiaro, con questo non vogliamo togliere nulla a Chris Froome, che questo Tour – assieme alla sua squadra – lo ha letteralmente dominato, non dando praticamente mai l’impressione di essere a tutta e staccando gli avversari (se così li vogliamo chiamare) anche su quei terreni – discesa e ventagli, giusto per fare due esempi – in cui storicamente aveva sofferto di più. Quello che domani festeggerà a Parigi, nella giornata in cui le ruote veloci si giocheranno l’ultimo successo di tappa di questa 103esima edizione, sarà il terzo Tour de France di una carriera a cui ora mancano i successi nelle altre grandi corse a tappe e almeno in una corsa di un giorno per entrare nel mito. Chissà che Froomey, ormai entrato nell’ultima fase della carriera, non voglia mettersi avanti già a partire dai prossimi appuntamenti: l’Olimpiade di Rio, dove sarà tra i favoriti in entrambe le prove (in linea e a crono), e la Vuelta di Spagna.