Martedì 23 Aprile 2024

Nibali chapeau, con il Tour diventa unico

C'è chi lo paragona a Coppi, chi a Gimondi e chi a Pantani. Ma lui con il Tour appena vinto è diventato il Re Sole della bici

Vincenzo Nibali (Lapresse)

Vincenzo Nibali (Lapresse)

Parigi, 28 luglio 2014 - In cima al podio del Tour, nella maestosa cornice dei Campi Elisi, con l’Arco di Trionfo come sfondo e il familiare suono dell’inno di Mameli, Vincenzo Nibali ha il sorriso soave di chi ha finalmente trasformato in realtà un antico sogno. E’ la giusta soddisfazione di chi ha completato un viaggio di parecchi anni, almeno quanti ne ha dovuti attendere il ciclismo italiano per trovare un successore a Marco Pantani: quando il campione di Cesenatico interrompeva a sua volta un digiuno di successi in Francia, un ragazzino in Sicilia già si stava mettendo in testa l’idea di diventare, prima o poi, il Re Sole della bici. 

GIÀ, RE SOLE - mai soprannome si è rivelato giusto per chi è nato Pulce e, col tempo, è diventato Squalo. Indica la regalità dell’atleta e la solarità dell’uomo: come ha perfettamente illustrato questo Tour, nel quale mai c’è stato un attimo in cui ha concesso ai suoi avversari l’illusione di essere in difficoltà, in Nibali le due qualità coincidono. Rendendolo un esemplare unico: in genere, lo sono tutti i fuoriclasse. Non è Pantani, che aveva una genialità tutta sua, non è Coppi, che umanamente era più complicato, non è nemmeno Gimondi, al quale più si avvicina per la completezza e la concretezza: è semplicemente Nibali. Ed è contentissimo di continuare ad esserlo.

Ogni epoca ha il suo campione, ogni campione deve restare nella sua epoca: questa si gode felicemente Nibali. Al quale frettolosamente è stata attaccata l’etichetta di campione all’antica: come se la normalità non potesse aver cittadinanza anche nello sport di oggi. E’ l’abitudine che i media hanno ormai di celebrare chi fa notizia per i capelli colorati, un piercing al naso o la schiena tatuata con l’intera cartina degli Stati Uniti, è un aspetto di quest’Italia che offre sempre una ribalta a chi si fa paparazzare in discoteca o manda in orbita un tweet imbecille: pur essendo figlio del suo tempo, Vincenzo si accontenta di piacere per ciò che fa.

Ha già fatto tanto, Nibali: a Parigi, dopo un Tour nel quale ha dimostrato una superiorità schiacciante testimoniata da quattro tappe vinte e otto minuti sul resto del mondo, correndo sempre all’attacco senza mai speculare sul proprio vantaggio, si consegna definitivamente alla Storia. Ma nel suo lungo viaggio ha già messo da parte un Giro e una Vuelta, per non contare la costante presenza sui relativi podii. E molto ancora gli resta da fare: a cominciare dalle grandi classiche, spesso solo accarezzate. Di sicuro, non dovrà cambiare questo aspetto che lo rende speciale al di là delle vittorie: come i campioni di una volta, non è di quelli che punta tutto su un mese all’anno, ma si esibisce da gennaio a ottobre. Mai per partecipare o per allenarsi, sempre per provare a vincere.

Grazie Nibali glielo dice anche il nostro ciclismo, che in questo campione garbato e trasparente ha trovato in questi anni la spina dorsale. Adesso non sarà una vittoria, per quanto importante come il Tour, a far pensare che il momento di depressione attraversato da questo sport in Italia sia definitivamente passato. Ma un campione come Vincenzo è sicuramente l’esempio che serve per ripartire.