Giovedì 25 Aprile 2024

Mancini, sogna la Nazionale: "Italia, vengo anche di corsa. Con me giocano i migliori"

Il tecnico si candida per la panchina azzurra: "Chi non sognerebbe di allenare la nazionale del proprio Paese? Balotelli è giovane, ma deve svegliarsi"

Roberto Mancini, 50 anni il 27 novembre (Lapresse)

Roberto Mancini, 50 anni il 27 novembre (Lapresse)

Roma, 31 luglio 2014 - L’azzurro del mare della Sardegna, dove si gode le vacanze, si fonde con quello della nazionale. Roberto Mancini, che nel ‘94 disse “no” a Sacchi per il mondiale Usa, si porta dietro solo questo rimpianto in una carriera luminosa, aver rinunciato alla maglia azzurra: «Fu un errore, ho sbagliato e se tornassi indietro non lo rifarei». Oggi, da allenatore che ha vinto ovunque sia andato, a una chiamata della nazionale direbbe «sì» e di corsa, perchè, come ama ripetere: «Chi non sognerebbe di allenare la nazionale del proprio Paese?».

Mancini, partiamo dal Mondiale. Il flop della nazionale è lo specchio del nostro calcio? «Il calcio da noi non è più quello dei grandi campioni di qualche tempo fa, anche se ci sono giocatori fortissimi. Il pallone vive di alti e bassi e ora il momento è basso». 

Lei è uno dei candidati per la panchina della nazionale e qualche tempo fa disse: «Sarebbe un sogno». «Sono sempre stato un nazionalista, non dimentico mai l’Italia, a maggior ragione quando sono all’estero per lavoro. Chi non sognerebbe di allenare la nazionale?» 

I sondaggi la indicano quale soluzione ideale. Sorpreso? «Forse perchè ci sono solo io... (ride)».

Faccia il serio. Conte, Spalletti, la concorrenza non manca. «Fa molto piacere e mi rende orgoglioso essere nei pensieri di coloro che amano la nazionale». 

Un tempo non è che lei fosse simpatico a tutti, oggi è in testa alle preferenze per la panchina azzurra. E’ l’aver vinto tanto che ha cambiato le cose? «Forse la gente riconosce che qualcosa di buono ho fatto, per il gioco, l’immagine e perchè no, anche per le vittore». 

Qualcuno l’ha chiamata per la panchina della nazionale? «Sì, mio padre e mia madre... Scherzi a parte, non ho sentito nessuno».

Il luogo comune è: Mancini guadagna troppo. «Non è che uno viene pagato di più perchè è simpatico. Se Messi guadagna più di un altro calciatore o Brad Pitt più di un altro attore ci sarà un motivo? Se qualcuno pensa di andare a prendere Ancelotti, Mourinho o Guardiola non credo che parta con l’idea di pagarli quanto un allenatore che non ha vinto nulla».

Allegri, prima di andare alla Juve disse: ‘In nazionale conta il prestigio non i soldi’.  «Allenare la nazionale, rappresentare il mio Paese mi renderebbe orgoglioso e mi pare logico che, dal punto di vista economico, un conto è essere ingaggiati da un grande club, un conto è allenare la nazionale. E’ chiaro no?». 

Prandelli ha fatto bene a volare in Turchia? «Sì. Ha fatto bene ad allenare subito dopo la delusione mondiale».

Come sarebbe il Mancini ct? Un conto è allenare un club, un conto una nazionale. «C’è differenza perchè i giocatori li hai a disposizione per poco tempo, però credo che sia normale avere in mente un’idea per migliorare le cose, avere a disposizione i giocatori, vederli più spesso. Sono le idee a fare la differenza tra noi allenatori, sennò uno varrebbe l’altro». 

I giocatori di maggior rilievo della nostra nazionale, da Pirlo e Buffon, sono ultratrentenni. Lei li chiamerebbe? «Non vi è dubbio. in nazionale devono giocare i migliori e loro lo sono. Se vuoi vincere i fuoriclasse sono indispensabili».

I giovani talenti, da Verratti a Immobile, vanno all’estero. Dov’è l’errore?  «Intendiamoci: Verratti giocando con grandi campioni al Psg è migliorato molto. Immobile al Dortmund crescerà ancora. Non è che andare all’estero sia un male. Ripeto: ora il momento è basso e vi sono club stranieri che possono pagare cifre che i nostri club non si possono permettere».

L’Italia vinse il mondiale nel 2006 con il 60% di italiani in campionato. Oggi invece gli stranieri sono al 60%, è qui il problema del nostro calcio?  «Mi ci vorrebbero quattro giorni per risponderle...».

Non li abbiamo. «Se uno straniero è bravo e fa la differenza è il benvenuto, sennò è meglio far giocare un giovane talento italiano. Quando negli anni ’80 riaprirono le frontiere, i presidenti presero solo stranieri che facevano la differenza, sennò si puntava sugli italiani. Che senso ha prendere giocatori all’estero che nulla possono insegnare ai nostri?».

E’ favorevole alle squadre B dei club di ‘A’ per far crescere i giovani? «Sì, decisamente. Però dico ai presidenti di avere un po’ più di calma con gli allenatori. Se un tecnico che mette in squadra un paio di ragazzi giovani perde tre partite di fila, rischia la panchina e magari però, quei tre, mesi dopo e con un po’ di esperienza, potrebbero risultare decisivi. Se però l’allenatore rischia l’esonero ci pensa su dieci volte a far giocare i ragazzi e punta sul sicuro, frenandone la crescita» 

Si parte con la rifondazione del dopo mondiale e arriva la bufera Tavecchio sulla frase ‘delle banane’. C’è chi lo accusa di razzismo. Lei che ne pensa? «A me non piace giudicare le persone, come sta accadendo in questi giorni, tra chi lo attacca e chi lo difende. La mia idea è che la sua sia stata una scivolata, anche se il tema è delicato e bisogna far attenzione. E qui mi fermo».

Pensava di evitare la domanda su Balotelli? E’ stato bollato come il grande colpevole del flop mondiale. Giusto o sbagliato? «Mario è giovane, anche se il tempo passa e lui deve svegliarsi perchè poi non ti aspetta più nessuno. Però stiamo parlando dello stesso giocatore che aveva trascinato l’Italia all’Europeo due anni fa. Al Mondiale è andato male e in Italia tendiamo ad ‘ammazzare’ i giocatori quando le cose vanno male, però nel calcio non si perde o vince per uno o due giocatori».

Prandelli ha detto: «Balotelli vive in un mondo virtuale».  «Io penso che invece viva la realtà anche troppo. Fuori dal campo, per come lo conosco io, è un ragazzo meraviglioso, educato. Deve comprendere che il suo lavoro è ciò che si sogna da bambini. E per vivere il sogno si è pagati profumatamente. Non deve fare una cosa difficile: rispettare l’allenatore, i compagni e aiutarli a vincere». 

Chiudiamo con il campionato. Le sue favorite? «La Juve, prima di Roma e Napoli, poi Milan, Inter e Fiorentina».

A proposito, la Juve l’aveva cercata per il dopo Conte? «No, anche in questo caso mi hanno cercato mia padre e mia madre...».