Venerdì 19 Aprile 2024

Il Tour de France (di magro) degli italiani

Per i nostri colori si chiude l'edizione più avara di risultati dal 2001. Come allora, nessuna vittoria di tappa e nemmeno un uomo in top ten, complici il crollo di Aru e l'enigmatica corsa di Nibali.

Fabio Aru, scortato da Rosa, taglia il traguardo di Morzine in grande ritardo (Bettini)

Fabio Aru, scortato da Rosa, taglia il traguardo di Morzine in grande ritardo (Bettini)

Parigi (Francia), 25 luglio 2016 - Con la cotta di Fabio Aru sullo Joux Plane, che è costata al sardo un piazzamento tra i primi dieci che sarebbe stato ampiamente alla sua portata, è calato il sipario sul Tour de France più avaro per i colori italiani dal 2001 a oggi. Mai, infatti, nei successivi 15 anni, eravamo tornati a casa dalla Grande Boucle senza alcuna vittoria di tappa né un uomo in top ten. Un doppio zero per la verità più volte sfiorato in tempi recenti, nei quali il contingente italiano nella corsa d'Oltralpe s'è fatto sempre più striminzito, sacrificato sull'altare della globalizzazione del ciclismo: nel 2002 a salvare il bilancio in extremis fu la vittoria di Dario Frigo a Cluses, nel 2006 quella altrettanto attesa di Matteo Tosatto a Mâcon. Nel 2009 ci pensò il settimo posto di un giovanissimo Vincenzo Nibali (ma l'Italia fu comunque grande protagonista grazie alla settimana in maglia gialla di Rinaldo Nocentini), poi a podio nel 2012 in un'altra edizione senza successi parziali dei nostri. Nel 2013 l'acuto di Matteo Trentin a Lione. In tutte le altre edizioni successive a quella altrettanto asfittica del 2001, invece, l'Italpedale ha sempre portato a casa almeno un paio di tappe, oppure qualche corridore nei primi dieci. O magari entrambi i risultati, come nel sontuoso 2014 che vide Nibali sfilare in maglia gialla a Parigi dopo aver vinto la bellezza di quattro tappe, a cui aggiungere una quinta vittoria di giornata ancora con Trentin e, volendo, il premio di supercombattivo andato ad Alessandro De Marchi. A voler essere pignoli, gli albi d'oro ci dicono di un'Italia in bianco anche nel 2008, ma in quel caso si trattò di un verdetto postumo, successivo alla cacciata di Riccardo Riccò e Leonardo Piepoli per la positività all'Epo di seconda generazione, il famigerato Cera. Prima di quell'epilogo inglorioso, infatti, Riccò aveva vinto a Super-Besse sul Massiccio Centrale e a Bagnères-de-Bigorre nel primo tappone pirenaico, imitato ventiquattr'ore dopo da Piepoli sull'Hautacam. Quella, d'altra parte, fu una delle edizioni più martoriate dal doping, dato che nell'occhio del ciclone finirono anche l'austriaco Kohl, terzo a sorpresa sul podio di Parigi, il tedesco Schumacher vincitore delle due cronometro, ed il colombiano Cárdenas, compagno di squadra alla Barloworld di un giovane e ancora pressoché sconosciuto Chris Froome. Quest'anno, invece, è direttamente stata la strada a sancire lo zero in casella dei nostri portacolori. Di Aru, che chiude al 13º posto in classifica e con un terzo posto di giornata, nella cronoscalata di Megève, abbiamo già detto. Molto controversa è stata anche la partecipazione Vincenzo Nibali che, dopo il tanto rocambolesco quanto esaltante bis al Giro d'Italia, si è presentato in Francia senza un ruolo né una condizione chiari da intepretare. Il siciliano ha subito messo da parte le ambizioni di classifica, concedendo più di otto minuti agli altri big nella tappa mossa de Le Lioran, sul Massiccio Centrale. E poi si è lanciato in una serie di attacchi da lontano che hanno prodotto, al massimo, il quarto posto di Lac de Payolle ed il terzo di sabato scorso a Morzine. Certo, Nibali è stato anche prezioso gregario di Aru in almeno tre occasioni: ad Andorra, quando scandendo un ritmo forte ma regolare ha permesso al sardo di limitare i danni in quella che è stata la sua prima giornata storta, e nella quale proprio grazie all'ex campione siciliano ha perso solo un minuto da Froome; a Culoz, quando lo Squalo ha partecipato all'attacco di squadra inscenato dall'Astana sulla salita ai Lacets du Grand Colombier, e poi ancora tra Col de la Forclaz e prime rampe della salita finale a Finhaut-Émosson nella tappa sulle Alpi svizzere. In entrambi questi ultimi casi, tuttavia, al gran lavoro di Nibali e dell'Astana non è corrisposta la finalizzazione di Aru, ed è difficile dare un senso al Tour 2016 di colui che in passato è stato capace di vincere quattro grandi giri e salire altrettante volte sul podio. A meno che la fatica fatta in Francia non ci ripaghi, tra due settimane, con una splendida medaglia olimpica. Anche sulla Grande Boucle di Diego Rosa e Paolo Tiralongo pesa, giocoforza, il mancato risultato portato a casa dal capitano Aru. Rosa ha comunque dimostrato di avere una gran gamba, inserendosi nella fuga buona nella tappa di Andorra poi conclusa in ottava posizione, e soprattutto mettendosi in mostra con trenate micidiali in testa al gruppo nelle occasioni in cui è stata l'Astana a prendere in mano le redini della corsa. Ecco, se proprio vogliamo muovere un appunto all'ex biker piemontese, l'impressione è che sia a Finaut-Émosson che a Saint-Gervais Rosa abbia addirittura esagerato con le sue accelerazioni, che Aru ha patito più di quanto non sia invece riuscito a metterle a frutto. Un altro italiano ha corso il Tour nelle vesti di gregario per un uomo di classifica, anzi per due: in casa Bmc, Damiano Caruso si è rivelato il miglior compagno a disposizione di Richie Porte, che a 31 anni è riuscito finalmente a cogliere la prima top ten della carriera in un grande giro, un quinto posto che anzi avrebbe addirittura potuto esser podio senza i quasi due minuti persi per una foratura già nella seconda tappa. Caruso è spesso entrato nelle fughe da lontano, ma ha sempre dovuto avere un occhio di riguardo per i propri leader, compreso anche quel Tejay Van Garderen che per l'ennesima volta ha mancato il salto di qualità, uscendo definitivamente di classifica alla 17ª tappa. Anche Domenico Pozzovivo, che a quasi 34 anni esordiva al Tour, una volta arrivate le montagne s'è mosso spesso dalla lunga distanza, venendo ripagato dal secondo posto in classifica del giovane capitano Romain Bardet più che dai risultati individuali. Gli altri nostri connazionali alla Grande Boucle si sono disimpegnati, soprattutto, nelle tappe pianeggianti: costretto a destreggiarsi in mezzo a fenomeni del calibro di un rinato Cavendish, del funambolo Sagan e dei colossi Kittel, Greipel e Kristoff, il velocista Davide Cimolai è riuscito ad entrare nei dieci solo a Villars-les-Dombes, quando è stato ottavo, mentre ieri sugli Champs Elysées ha mancato di un soffio quella che sarebbe stata un'altra top ten di prestigio, piazzandosi undicesimo. Matteo Bono, compagno di squadra di Cimolai nell'italiana Lampre-Merida, è stato sacrificato a ruoli di mero gregariato, mentre Cesare Benedetti della Bora-Argon 18 è andato spesso in fuga: l'azione più vicina all'andare in porto è stata quella nella 14ª tappa, quando il corridore trentino è stato riacciuffato dal gruppo ad appena 8 km dalla gloria. Fabio Sabatini era l'ultimo uomo di Marcel Kittel e curiosamente lo sprinter tedesco ha centrato la vittoria l'unica volta in cui l'esperto corridore toscano ha sbagliato i tempi del lancio, anticipandoli troppo, a Limoges. Ma se per la Etixx-Quick Step questo Tour va in archivio con un solo successo, quello a cui vanno tirate le orecchie per un rendimento troppo incostante è proprio Kittel, e non certo Sabatini. Stesso dicasi, in casa Katusha, per Alexander Kristoff e Jacopo Guarnieri: ben poche colpe ha il nostro corridore, se al norvegese è spesso mancato lo spunto veloce, o magari soltanto il colpo di reni come a Berna, quando a beffarlo sul filo di lana è stato Peter Sagan. Proprio lo slovacco ci porta agli ultimi due italiani al via di questo 103º Tour de France, Oscar Gatto e Matteo Tosatto. Il primo ha avuto la fortuna di assolvere al ruolo di angelo custode di un Sagan in stato di grazia, che obiettivamente non ha avuto bisogno di particolari aiuti per vincere tre tappe, sfiorarne almeno altre cinque e far sua per la quinta volta di fila la maglia verde. A Tosatto, che con i suoi 42 anni era il nonno del gruppo, è toccato invece il non facile compito di gestire la situazione in casa Tinkoff, una squadra apparentemente disunita dall'annunciata dismissione a fine stagione, e ulteriormente scioccata dal precoce abbandono del leader máximo Contador.