Heysel, nello stadio della morte. Trent'anni fa la tragedia che sconvolse il calcio

Il nostro inviato rievoca la folle notte di Juventus-Liverpool che costò 39 vite

Un momento della tragedia dello stadio Heysel (Lapresse)

Un momento della tragedia dello stadio Heysel (Lapresse)

Bruxelles, 29 maggio 2015 - Bruxelles bruciava al sole in quel pomeriggio del 29 maggio. La Juve era arrivata dai profondi silenzi del ritiro di Ginevra, salutata da un tifoso speciale, il giovanissimo Emanuele Filiberto di Savoia, allora tredicenne. Lungo le vecchie strade del centro storico e sotto la statua del Manneken Pis sfilavano senza conflitti apparenti i branchi del Liverpool e i tifosi bianconeri. Odori forti di birra, un clima di attesa crescente per la finalissima dell’Heysel distante poche ore e una colonna sonora ossessiva, martellante: «Liverpool, Liverpool, Liverpool, you’ll never walk alone», l’inno della squadra inglese, la religione musicale del Kop, il cuore del tifo di Anfield Road.

Il piccolo stadio belga si popolò con largo anticipo, come sempre succede nelle grandi manifestazioni, dilatando quella lunga vigilia. I tifosi juventini che avevano prenotato attraverso tour operator si sistemarono nei settori M ed N, lontani dai supporter del Liverpool. Quelli che invece si erano organizzati in proprio furono convogliati nella curva Z, divisa a metà da una sottile rete di protezione: da una parte i Reds, dall’altra il popolo bianconero.

Il maledetto Heysel era uno stadio palesemente inadeguato alla finale di Coppa dei campioni non solo per le piccole dimensioni, ma perché era un impianto fatiscente. Dalla curva Z si staccavano calcinacci che divennero armi primordiali nelle mani degli «animals» del Liverpool. Dopo qualche coro minaccioso contro gli juventini presero a piovere proiettili di argilla seccata. Nella semicurva italiana cominciò il fuggi fuggi, interpretato dai Reds come un segnale di resa. Falangi di tifosi del Liverpool si scagliarono a ondate verso la ridicola rete divisoria fino a farla crollare. Il loro obiettivo era l’invasione, volevano cacciare gli italiani e tenersi la curva Z tutta per loro.

Dalla tribuna stampa la scena parve subito agghiacciante. Premuti da quella massa di folli guerriglieri da stadio, i tifosi italiani cercarono una via di fuga da una scala laterale, mentre i pochi agenti di polizia distribuivano manganellate proprio ai nostri per riportare la calma. Stretti in quell’imbuto di paura, molti cominciarono a correre all’impazzata verso l’uscita e un muretto di supporto crollò all’improvviso. Quella calca infame cominciò a rapire una vita dopo l’altra. Fra i corpi laceri e calpestati la morte arrivò per colpa della paura: molti finirono col torace sfondato travolti dalla massa dei tifosi in fuga, altri cercarono invano l’ultimo refolo d’aria prima di morire per asfissia.

Ricordo che mi catapultai dalla tribuna stampa per raggiungere il ventre dello stadio. Avevamo la percezione della tragedia in atto, anche se lo speaker ufficiale continuava a rassicurare il pubblico, invitando i tifosi alla calma, chiedendo loro di non abbandonare il posto. Quando raggiunsi l’ampio corridoio ad anello che circondava lo stadio, vidi quello che temevo: una decina di corpi senza vita accatastati uno sopra l’altro, maschere di sangue, volti tumefatti con i segni neri delle suole sui volti calpestati. Custodi di quella tragedia due poliziotti a cavallo, simboli viventi dell’impotenza degli organizzatori, dell’imprevidenza dell’Uefa e del governo belga.

Mentre correvo verso la postazione telefonica per raccontare la scena al mio giornale e ai colleghi Italo Cucci e Sandro Picchi, vidi torme di tifosi juventini chiedere ansiosamente di entrare in tribuna stampa per rassicurare parenti e amici o per raccontare i dettagli di quella tragedia che si consumava. Intanto i giocatori erano chiusi negli spogliatoi con notizie vaghissime su quanto stava accadendo. Sarebbero entrati in campo un’ora e mezzo dopo, su espressa richiesta dell’Uefa e della prefettura di Bruxelles, per evitare che le due fazioni del tifo scatenassero una guerriglia fuori dallo stadio.

Mentre la polizia convocava reparti militari, allestendo un tardivo servizio di sicurezza, i giocatori scesero in campo per giocare quell’assurda finale. La Juventus vinse con un gol di Platini, mentre la famigerata curva Z era ormai un tragico moncone, con i soli tifosi del Liverpool su un lato e un vuoto agghiacciante dall’altro. La morte aveva preso il posto della gioia e dell’euforia dei tifosi juventini. Ignari della tragedia, alcuni giocatori bianconeri si concessero un assurdo giro di campo con la Coppa insanguinata. Ma il giorno dopo, sul volo di ritorno verso Torino, quando il bilancio della tragica notte dell’Heysel fu chiaro a tutti, la grande Coppa con le orecchie rimase desolatamente abbandonata su un sedile.