Mercoledì 24 Aprile 2024

La Germania segreta: un modello da imitare

Dai vivai ai soldi, ecco com’è nato il trionfo di Muller & C. padroni del pallone di Alessandro Fiesoli

Mario Goetze con la coppa del mondo (Ansa)

Mario Goetze con la coppa del mondo (Ansa)

Firenze, 15 luglio 2014 - United colors of Germany. La finale del Maracanà, imperfetta e giocata sui nervi come tutte le finali, decisa anche dagli errori fatali di Higuain, Messi e Palacio, ha consegnato alla storia del calcio la Germania meno tedesca di sempre. Almeno in base a stereotipi e luoghi comuni mandati in archivio, in modo definitivo e sacrosanto, dalla Coppa alzata in Brasile.

A Berlino, la ‘Grande Mela’ d’Europa, si parlano 180 lingue e allora non ci si deve sorprendere se nella nazionale costruita da Loew, nella scia di Klinsmann, ci sono giocatori con radici polacche (Klose e Podolski), turche (Ozil), ghanesi (Boateng), tunisine (Khedira), albanesi (Mustafi). La stessa Merkel ha sangue polacco per parte di madre. Sono lontani i tempi in cui lo «Spiegel» sparava in prima pagina un titolo allarmante come: «A quando un cancelliere turco?». Nel calcio, con la sua nazionale, la Germania ha sintetizzato il meglio dei suoi ultimi vent’anni: l’integrazione Ovest-Est, il modello multietnico e multiculturale, la programmazione, la capacità di fondere il progetto industriale ed economico con il talento dei suoi piedi buoni del pallone, in maggioranza giovani, e al di là del calcio con la valorizzazione dell’industria manifatturiera.

Loew ha unito la vecchia guardia (Klose, Lahm, Schweinsteiger) con i giovani come Muller, Kroos, Hummels e per ultimo l’uomo d’oro del Maracanà Goetze, per età un figlio del dopo-Muro, ottenendo una squadra che si è dimostrata, ancora prima della finale, la più forte e la migliore del mondiale per la qualità del gioco. Una Germania giovane, età media 26 anni, già pronta anche per il futuro. La contaminazione con le idee tattiche di Guardiola (sei giocatori del Bayern titolari) rappresenta un altro esempio di felice scambio. Il quarto mondiale, conquistato perfino senza arroganza, al punto che non è facile antipatizzare nei confronti di questa Germania, è lo specchio del periodo d’oro della Bundesliga, progettato dopo il fallimento nell’Europeo 2004 e costruito sulle fondamenta, politiche e di infrastrutture, del mondiale in casa del 2006. Sconfitta in semifinale con gli azzurri a Dortmund a parte.

Numeri da far invidia al nostro calcio. Dunque: 366 centri di formazione per giovani calciatori, 29 strutture di coordinamento, 2,5 milioni investiti ogni mese sul vivaio nazionale. La federazione è finanziata da un accordo con l’Adidas che prevede 25 milioni all’anno fino al 2018. La Bundesliga, gode di ottima salute: 44.293 spettatori medi (in Italia sono 22 mila), 37 anni l’età media di stadi molto belli (in Italia si sale a 62), 91 per cento la percentuale di riempimento degli impianti (da noi siamo fermi al 59). Un campionato che non ha mai avuto Cruijff, Platini, Zico o Falcao, Maradona o Ronaldo, Iniesta o Messi, ma che ha prodotto in proprio una qualità media sempre più alta. E ora si godono la loro quarta coppa del mondo. Non se ne sono mai andati, i tedeschi, ma hanno ricominciato a vincere. E hanno tutto per restarci a lungo, lassù in alto, al potere anche nel calcio.