Ferrari, i 70 anni della signora in rosso. La scommessa vincente di Enzo il Matto

Il 12 marzo 1947 nasce la 125S, prima auto prodotta a Maranello

Ferrari 125 S guidata da Cortese nel 1947 (archivio)

Ferrari 125 S guidata da Cortese nel 1947 (archivio)

Maranello, 12 marzo 2017 - «DITE ai bambini di tenersi lontani dalla strada, sta per passare il matto…». Era il 12 marzo del 1947 e ‘il matto’, cioè Enzo Ferrari, si stava avventurando sulla via polverosa che collegava Maranello con Formigine, campagna modenese del periodo post bellico. I contadini della zona non avevano dubbi: quel signore, diventato ricco prima della guerra grazie alla Scuderia che schierava in corsa le Alfa Romeo di Nuvolari e Varzi, ecco, quel signore chiaramente si era bevuto il cervello, perché stava dissipando una fortuna per costruire una automobile degna di portare il nome suo. Settanta anni fa, così è nata la Ferrari, mito italiano del Novecento e brand vincente anche nel nuovo millennio, con tanto di felice quotazione in Borsa a Wall Street e in Piazza Affari. Settanta anni fa, in un contesto di miseria generalizzata, ci voleva un coraggio sconfinante nell’incoscienza per immaginare che una vettura potesse diventare opera d’arte, oggetto di lusso, status symbol. E quella audacia Enzo il Matto se la sentiva addosso, mentre spingeva il motore dodici cilindri della…primogenita, la 125 S.    UN GIOIELLO cesellato con pazienza da orafo, sviluppando un progetto silenziosamente coltivato mentre sull’Emilia cadevano le bombe. In effetti Ferrari sarebbe stato pronto per la grande impresa già nel 1942, ma al rumore dei motori si era sovrapposto il fragore dei cannoni e la fabbrica gliela avevano militarizzata. Aveva saputo aspettare. Era sopravvissuto alle insidie del tremendo conflitto civile: gli davano del fascista, ma in fabbrica dava riparo ad una cellula partigiana. I comunisti veri conoscevano la storia e lo avevano salvato dalle smanie di vendetta degli ultras: magari era matto davvero, Ferrari. Eppure, aveva in testa un’idea che avrebbe cambiato la faccia, l’immagine, il sentimento di un popolo. Quel 12 marzo del 1947, il Drake concluse il test e fu subito attorniato dai collaboratori più fedeli. Luigi Bazzi e gli altri fremevano: gli era piaciuta, la macchina? O qualcosa ancora non funzionava? Narra la leggenda che una lacrima scese da un occhio del costruttore: colpa della polvere di strada, ci tenne a precisare. Mai mostrare le emozioni al prossimo, questa era la regola. Invece era proprio un cedimento alla commozione: la 125 S era come l’aveva sognata, quando si affannava sulle carte dell’ingegner Gioachino Colombo, quando recuperava le lezioni del maestro Vittorio Jano, quando ripensava al sacrificio della madre Adalgisa, che aveva accettato di vendere la casa di famiglia pur di finanziare le audacissime intuizioni del figliolo… Forse a questo punto, settanta anni dopo, potremmo e dovremmo chiederci se nell’Italia del presente un altro Enzo Ferrari avrebbe diritto di cittadinanza. Temo che la risposta sarebbe dolorosamente negativa: siamo diventati un paese che ha paura del nuovo, quasi sempre. Al Drake di Maranello i conterranei davano del matto, ma in un angolo del cuore tifavano per lui e infatti mai gli operai fecero uno sciopero al reparto corse, nemmeno ai tempi dell’autunno caldo. Sapevano che bloccare la preparazione di una monoposto per un Gran Premio avrebbe messo in pericolo l’identità della azienda. E si rendevano conto di una cosa fondamentale: dirottandoli dall’agricoltura alla meccanica, Enzo il Matto aveva compreso che figli e nipoti dei contadini volevano scappare dalla fatica feroce degli antenati. «C’era nella operosità estenuante dei lavoratori della terra qualcosa che li spingeva inesorabilmente verso il motore – disse una volta Ferrari –. Io lo sapevo, che si sarebbero rivelati i migliori ingegneri del pianeta». Come Mauro Forghieri, braccio destro dell’epoca d’oro.   CHE STORIA, sì. Partita con un modello, la 125 S, che da subito andava veloce e con Franco Cortese presto vinse il circuito di Caracalla a Roma e quel nome, Ferrari, si trasformò in sinonimo di competizione. Zero investimenti in pubblicità, la promozione del marchio era e ancora resta affidata alle corse, agli ordini d’arrivo. Una leggenda che si auto alimenta, dalla Mille Miglia alla Ventiquattro Ore di Le Mans, passando per la Formula Uno, Imola e Monza, Silverstone e Interlagos e poi i grandi assi del volante, da Ascari a Fangio, da Lauda a Villeneuve a Schumacher, fino alla speranza contemporanea incarnata da Vettel e da Raikkonen, ultimo iridato in rosso ahinoi ormai dieci anni fa. In mezzo, le sorelle della 125 S. Auto che valgono milioni e milioni di euro, gli esteti giurano che l’esemplare più riuscito sia ancora la affascinante Gto di mezzo secolo fa ma in fondo ha ragione Sergio Marchionne, il presidente del presente, successore dell’avvocato Montezemolo, quando si appropria di un vecchio slogan di Enzo il Matto: «La Ferrari più bella? È sempre la prossima».