Giovedì 18 Aprile 2024

Badelj, il tesoro della Fiorentina: dalla crisi alla rinascita, la seconda vita del vice Pek

Para il centrocampista croato acquistato la scorsa estate dall'Amburgo: "E’ stata dura, ma ho capito il vostro campionato. Avevo bisogno di tempo perché in Italia la tattica è più complessa"

Milan Badelj, 25 anni (Ansa)

Milan Badelj, 25 anni (Ansa)

Firenze, 4 marzo 2015 - Dopo aver sospettato il contrario per almeno tre mesi, abbiamo la certezza che Milan Badelj sia un buon giocatore. Lui ascolta la battuta e sorride. Meno male che è anche un bravo ragazzo. Si scusa per il suo italiano limitato, suggeriamo allora di fare l’intervista in croato. Sgrana gli occhi: «Davvero?». Ma no Milan, è una battuta, chi lo sa il croato? Andrà benissimo così, se serve ci rifugeremo anche nell’inglese. Basta capirsi, tanto la prima domanda è semplice. O forse no.

Come si fa a passare dal 5 al 7 fisso in pagella? Se è un segreto lo brevetti.

«Non ci sono segreti nel calcio, ma sono grandi le differenze fra un campionato e l’altro. Per me il salto dalla Germania all’Italia è stato enorme. Ci ho messo un po’ per capire e sto ancora studiando la tattica, i movimenti, le distanze, i meccanismi. Prima ero frenato, compresso, avevo paura di sbagliare perché magari pensavo a troppe cose insieme. Il calcio è spirito, cuore, gambe, piedi. Ora mi sento molto meglio, gioco con più tranquillità».

E si vede. Provi a spiegarci la principale differenza fra il campionato tedesco e quello italiano.

«Faccio un esempio: in Germania fai una finta, salti un uomo e magari hai trenta metri a disposizione per spingerti in avanti. In Italia fai una finta, salti un uomo e sei al punto di prima, perché hai subito due-tre giocatori che ti attaccano. La tattica da voi è molto più sviluppata. Il ritmo di gioco è più basso, ma lo studio di una partita è complesso».

Mai pensato di aver sbagliato campionato?

«Ci sono stati momenti difficili, ma anche allora ero convinto di aver fatto la scelta giusta e mi sforzavo di capire e adattarmi. Un giocatore del resto non ha alternative: se si butta giù ha solo da perderci, perché tanti altri vogliono prendere il suo posto. La verità è che proprio questo tipo di calcio mi piace parecchio, da bambino guardavo la serie A anche per la sua complessità tattica. Ci sono arrivato da giocatore e ho capito che qui bisogna pensare in anticipo. E’ una sfida continua, un esercizio di intelligenza. In Italia devi essere tecnico e veloce con il pensiero, ma non basta farlo da solo: bisogna che funzioni la sincronia con i compagni altrimenti l’avversario ti frega».

Sempre per il balzo dal 5 al 7 in pagella, in cosa si considera migliorato di più?

«Ho imparato a correre in modo diverso per creare spazi e coprirli in base alle esigenze della squadra, considerando i movimenti dei compagni e non solo i miei. Il salto di qualità che ho fatto, se c’è stato, è questo. Posso condividere con gli altri un concetto che mi sono ripetuto negli ultimi tempi? Questo è solo l’inizio».

Non male come promessa... Comunque meglio da regista o da interno?

«Sono due ruoli che mi piacciono. A Milano contro l’Inter per esempio ho giocato nel ruolo di Pizarro... Non una gran partita forse, ma ci siamo comportati tutti da squadra e siamo riusciti a vincere. Questo mi piace! Giocare da squadra».

Non ha risposto alla domanda...

«Allora: quando gioco da mezz’ala ho più possibilità di spingermi davanti, e mi piace. Da regista il compito è diverso, ma non fa poi molta differenza perché credo di aver capito meglio come si gioca in Italia. Ho giocato al posto del Pek, di Mati e di Borja... L’importante prima di tutto è che l’allenatore ti scelga, a me i tre posti centrocampo vanno benissimo».

Le dà fastidio la definizione di vice Pizarro?

«E perché mai dovrebbe? David è un grande giocatore, sono fortunato a potermi allenare con lui per rubargli qualche movimento, qualche giocata... Logico che i tifosi gli vogliano bene, è qui da tre anni e ha sempre giocato a livelli alti».

La Dinamo Zagabria la richiamò alla base per farla giocare al posto di un certo Modric...

«Eh, ricordo. Non sono certo Modric, io! Però in Croazia e Germania mi sono divertito anche a fare qualche assist, mi sembra 19 nella Dinamo e 11 in due anni nell’Amburgo. Questo in Italia un po’ mi manca, ma spero di recuperare. Ora che ho capito...».

E la Fiorentina cosa ha capito negli ultimi due mesi?

«Che è bello essere su tre fronti. Che il gruppo ha la qualità e i numeri per poter restare in corsa dappertutto. Che è meglio pensare a un avversario alla volta sapendo che ci saranno eventualmente altre occasioni per rifarsi».

Meglio il campionato, l’Europa League o la coppa Italia?

«Non credo abbia senso fare una scelta. Giochiamocela e poi vediamo. Dico solo che il terzo posto in campionato è un obiettivo che ci interessa parecchio».

Il clima è cambiato da quando è arrivato Salah?

«Ah Mohamed... Lui è davvero incredibile, ha entusiasmo e lo trasmette con i sorrisi in campo e in allenamento. In questo ricorda molto Cuadrado. La sua passione per il calcio è reale, ha arricchito un gruppo che è formato da tutti giocatori che pensano in modo positivo. Siamo tanti, più di 35: e tutti predisposti a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. A parte questo, Salah è fortissimo».

Ancora su di lei: che giudizio dà della sua prima parte della stagione? E della seconda?

«Durante la prima ci sono stati momenti difficili, ma non posso dire che sia stata negativa perché ho imparato a confrontarmi con la tattica. Ora mi sento più sereno quando vado in campo e spero che i risultati si vedano».

C’è un desiderio particolare per il 2015?

«Siamo una squadra in corsa su molti fronti, mi piacerebbe che il gruppo ottenesse le soddisfazioni che si merita».

Era una domanda personale...

«Ma il calcio non si vince da soli. Bisogna essere in undici, anzi di più perché poi c’è tutto il gruppo. E qui è incredibile come lo spogliatoio sia compatto».

E la sua vita privata? Si racconti un po’.

«La mia fidanzata si chiama Martina, ha 25 anni come me, vive a Zagabria e studia pianoforte. Viene e va, magari si trattiene una settimana e poi riparte perché deve frequentare il suo corso di studi. Io sono un tipo sportivo. il calcio mi piace ovviamente da matti e sono fortunato a poterlo vivere come un lavoro... Poi mi piacciono il basket e il tennis, ma in genere tutti gli sport. Parlo poco di politica e non perché non abbia le mie idee. Solo che ho conoscenze troppo superficiali per poterle esprimere in pubblico».

Torniamo al calcio. E quindi alla Juve.

«Lo so che questa è una partita speciale per Firenze. Sono qui da poco, ma l’ho capito bene... Loro sono fortissimi, ma quando si vince come sta capitando spesso a noi, beh, è meglio incontrare gli avversari più difficili. Quindi sono contento che ci sia subito questa partita».

La difesa è messa male: potrebbe giocare anche come centrale?

«Eh questa la vedo un po’ dura...».

A proposito di tattica, potrebbe essere un’occasione per arricchire il proprio repertorio.

«Non esageriamo. Comunque sono giovane, ho 25 anni e spero di crescere ancora tanto come calciatore. Fin da piccolo ho sempre reso meglio sotto pressione, lo stress in campo non mi preoccupa. Del resto se giochi nella Dinamo Zagabria devi fare subito i conti con un ambiente che ti mette alla prova, c’è moltissimo calore. La differenza fra il calcio croato e quello tedesco è tantissima, con quello italiano non se ne parla. Ma sono contento di aver già fatto tutte queste esperienze. E lo ripeto. Spero che sia solo l’inizio, le difficoltà maggiori credo di averle superate».