Il pm: sostanze dopanti a Magnini. Ma per il gip non ci sono prove

Pesaro, il nuotatore pedinato prima delle Olimpiadi. Non è indagato Il primo commento: "Sono sereno, confermata la mia trasparenza"

Filippo Magnini con il medico dietista Guido Porcellini

Filippo Magnini con il medico dietista Guido Porcellini

Pesaro, 1 giugno 2017 - E’ stato intercettato per settimane. Anche pedinato, persino al casello autostradale. Per una ragione semplice: Filippo Magnini era il presunto destinatario di prodotti dopanti. Alt: non c’è la prova che li abbia ricevuti e utilizzati. Ma erano destinate a lui nel giugno 2016 anche sostanze provenienti dalla Cina con principio attivo la pralmorelina, ormone della crescita, «...sostanza anzidetta procurata per l’atleta Magnini Filippo che aveva in corso la preparazione per le gare olimpiche nell’anno 2016». E già a gennaio 2016 «erano destinate a lui fiale di Hygetropin, non ormone della crescita ma sostanza pericolosa per la salute». Tutta merce sequestrata negli ambulatori, alle Poste e in aeroporto a Malpensa.

CLAMOROSA inchiesta della procura di Pesaro che indagando su un traffico di sostanze dopanti trovate nel marzo del 2015 in un centro fisioterapico denominato Fisioradi, si è imbattuta in Magnini, campione pesarese nonché testimonial di «I doping free», cioè liberi dal doping. Nel giro di pochi mesi i pm Monica Garulli e Valeria Cigliola hanno ricostruito con le intercettazioni telefoniche e ambientali la rete di amicizie e frequentazioni che aveva il titolare di quel centro arrivando al medico nutrizionista di Magnini, il dottor Guido Porcellini, da anni nello staff dell’atleta per la preparazione degli appuntamenti agonistici più importanti. Insieme a Porcellini, già condannato nel 2015 per traffico di cocaina a 3 anni e otto mesi di reclusione, come factotum e procacciatore di sostanze dopanti entra in scena Antonio Maria De Grandis, di Pesaro, quest’ultimo dirigente di rugby.

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MAGNINI presenta al dottor Porcellini, sempre nel novembre 2015, il suo amico e collega nuotatore azzurro Michele Santucci. Quest’ultimo parla con Porcellini di «funghi» piuttosto che di sostanze. Con una successiva telefonata a Porcellini, Magnini si preoccupa di chiarire che il suo amico «..parlava di funghi ma non erano i funghi». Poi il medico fornisce i dati bancari per un versamento su postapay.

AVENDO raccolto questo, dopo aver ascoltato a lungo le conversazioni di 8 persone, tra cui Filippo Magnini e Michele Santucci, la procura di Pesaro chiede una misura interdittiva nel maggio 2016 per il dottor Porcellini e il fidato De Grandis, ma il gip Giacomo Gasperini la rigetta perché «...le ricostruzioni della pubblica accusa sono significativamente messe in dubbio dai risultati degli esami affidati ai tossicologi e dal fatto che negli altri casi non si hanno a disposizione i prodotti ma solo un enorme materiale intercettivo di non agevole e univoca interpretazione».

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Per il gip, «quelle sostanze non contenevano la molecola della somatropina...». E ancora: «Considerando poi che gli stessi inquirenti – scrive il gip il 19 maggio 2016 – danno atto di come i rapporti tra Porcellini e Magnini sono legati a ragioni professionali viene meno la chiave interpretativa funzionale alla impostazione accusatoria (ad esempio come inquadrare in chiave di illeceità la espressione con quelle lì mettiamo a posto Filo che usa Porcellini con De Grandis?»).

Poche settimane fa, la procura ha chiuso l’inchiesta chiedendo il rinvio a giudizio per i soli Porcellini e De Grandis. Rispondono di commercio di prodotti dopanti, falso, ricettazione e somministrazione di medicinali guasti. Magnini, quale destinatario di sostanze dopanti, non ha commesso reati. Sarà al massimo un teste dell’accusa. Ma forse un testimonial in meno.