Calciopoli senza fine. La prescrizione rischia di allungare lo scandalo

Il peggior risultato per tutti. La parola prescrizione, scritta in fondo ai nove anni di Calciopoli, lo scandalo che ha avvelenato una generazione di tifosi, non chiarisce nulla e lascia aperto il campo a dubbi e recriminazioni. Dagli juventini, che invocano una revisione del processo sportivo (per restituire alla Signora i due scudetti cancellati), a Moggi che vorrebbe ricorrere alla corte di Strasburgo per avere un’assoluzione piena, ai milioni di tifosi di altre fedi, che si sentono presi in giro da una sentenza incapace di esprimere condanne. Poi c’è la Juventus, che pretende i danni di immagine (e di sostanza) collegati alla vicenda Calciopoli e invoca un risarcimento di 443 milioni dalla Federcalcio.

In attesa del dispositivo della sentenza, la Cassazione lascia intendere che il calcio di quegli anni era in mano a una cupola che tentava di condizionare i risultati del campo, facendo pressione sui designatori arbitrali. Il ruolo di Luciano Moggi appare preminente per le reiterate conversazioni intercettate e per il tentativo di eludere i controlli delle telefonate, ricorrendo alle famose schede svizzere. Questo non esclude che il malcostume fosse diffuso e che altri dirigenti tentassero di ingraziarsi il mondo arbitrale, come dimostrano le intercettazioni prodotte dalla difesa di Moggi e mai prese in considerazione.

Ma il «così fan tutti» non assolve l’ex direttore generale bianconero dalle sue responsabilità e non cancella un tristissimo capitolo del nostro calcio che sarebbe meglio per tutti considerare definitivamente chiuso. Forse è meglio seppellire Calciopoli sotto la parola prescrizione che dilatarlo all’infinito con ricorsi e rivendicazioni.