Lippi, il vero paperone del calcio. "Allenerà la Cina per 20 milioni"

L’ex ct dell’Italia diventa il simbolo dei sogni di gloria di Xi Jinping

Marcello Lippi col presidente della Chinese Football Association, Cai Zhenhua (Ansa)

Marcello Lippi col presidente della Chinese Football Association, Cai Zhenhua (Ansa)

Pechino, 23 ottobre 2016 - SI SENTIVA preso in giro, Marcello Lippi, alla fine del giugno scorso. L’investitura di direttore tecnico della nazionale gli era sfuggita per un cavillo che vieta incarichi federali ai parenti di procuratori sportivi come il figlio Davide. E non l’aveva presa bene, dopo aver atteso il parere legale della Federazione, rinunciando poi all’incarico: «Non posso farmi prendere in giro», sibilò. Chissà che oggi, con un super contratto da ct della Cina – i rumors parlano di 50 milioni di euro (20 netti all’anno) –, Lippi non se ne stia lì a benedire quella norma indigesta: se non tutto il male viene per nuocere, difficile credere che possa addirittura coprirti di milioni.  Perché il ritorno di Lippi in Cina? Dove ha vinto tre scudetti e una Champions con il Guangzhou Evergrande? Perché c’è da rimediare a una situazione disperata. Gao Hongbo, predecessore di Lippi, si è dimesso il mese scorso dopo il 2-0 incassato in Uzbekistan che allontana il sogno del Mondiale 2018. Quattro partite, un solo punto con l’Iran e tre ko con gli uzbeki, la Siria e la Corea del Sud: questo lo score mortificante nel girone eliminatorio di chi, invece, vorrebbe salire sul tetto del mondo. E già, perché il Lippi bis si inquadra non solo nell’emergenza di giocarsi le residue chance mondiale, ma anche e soprattutto nella bramosia pallonara dell’ex segretario generale del partito comunista Xi Jinping e, dal marzo 2013, presidente della Repubblica popolare.   UN PASSO indietro, fino al 60esimo compleanno di Xi Jinping, il 15 giugno 2013. Quel giorno, la nazionale del suo Paese guidata dallo spagnolo Camacho incassa 5 gol (5-1) da quella thailandese, proprio nei minuti in cui Xi Jinping alza il calice per brindare. Per uno come lui, che ha più volte confessato di avere un tris di sogni, (qualificarsi, ospitare – l’obiettivo è il Mondiale 2026 o 2030 – e prima possibile vincere la Coppa del Mondo) è troppo. Quella sconfitta è vissuta come una vergogna senza precedenti. Un miliardo e 300 milioni di cinesi umiliati da un popolo di 65 milioni di abitanti e all’82° posto della graduatoria Fifa, il retrobottega del calcio mondiale.  Sconfitta che provocherà anche tumulti tra polizia e tifosi delusi, un campanello d’allarme che va oltre la passione presidenziale. È chiaro come una superpotenza come quella cinese non possa tollerare segnali di fragilità in ciò che – lo sport – è ritenuto un formidabile volano politico. Xi Jinping, notoriamente un decisionista, reagisce immediatamente e dà il via a una riforma culturale che risucchia lo sport nella politica, il cui punto cardine è ‘Lo sviluppo del gioco del calcio’, con lo scopo di portare la Cina ai vertici del pallone mondiale entro pochi anni. Una riforma che – mentre si moltiplicano le inaugurazioni di impianti super futuristici – prevede di formare circa 7mila maestri di calcio, rendendo il football obbligatorio in decine di migliaia di scuole. Il tutto entro il 2017 con l’obiettivo di formare 100mila calciatori di livello, grazie a uno stanziamento monstre: 850 miliardi in 10 anni per costruire uno straordinario strumento di consenso di massa.   PARALLELAMENTE è iniziata l’invasione dell’Europa e del Sud America. Ecco perché, ad esempio, l’ex romanista Gervinho all’Hebei Fortune guadagna 8 milioni l’anno e incassa 150mila dollari per ogni gol. Oppure l’azzurro Graziano Pellè, che guadagna 15 milioni netti l’anno. E, ancora: Ramires, Mbia, Jackson Martinez, Alex Teixeira, giusto per citare qualche nome importato grazie a ingaggi pazzeschi. L’intento dei predatori del pallone è chiaro: usare le stelle mondiali per replicarle in casa propria. Ma non basta. Quale modo migliore se non quello di comprarsi i club europei per studiarli dall’interno e riprodurli in Cina? Ecco perché l’Inter, il Milan, la partecipazione azionaria dei grandi gruppi cinesi nel Manchester City, l’Atletico Madrid, l’Espanyol o l’intera proprietà rilevata di Aston Villa, Birmingham, West Bromwich e Wolverhampton in Premier League, il Nizza e il Sochaux in Francia, il Den Haag in Olanda. Giusto per citare alcuni esempi. È la Grande Invasione del pallone, sulla quale il santone dell’Arsenal, Arsene Wenger, ha fatto scattare l’allarme: «L’Europa si preoccupi, la Cina ha i mezzi per saccheggiarci».