Bertolucci e la Davis 1976: "Magliette rosse? Avrei giocato in mutande"

Il protagonista dello storico trionfo: "Tennis italiano in crisi, non abbiamo sfruttato le vittorie del passato".

Coppa Davis 1976

Coppa Davis 1976

Roma, 31 maggio 2016 - Nel 1976 l'Italia vince la prima e unica Coppa Davis, contro il Cile di Pinochet a Santiago: un evento leggendario, da un punto di vista sportivo e politico. Perchè nella seconda giornata Adriano Panatta e Paolo Bertolucci si rendono protagonisti di un gesto estremo, che a 40 anni di distanza segna ancora la storia del tennis.

Bertolucci, che ricordi ha di quell’epoca?

Erano anni duri, complicati, di tensione. C’era fermento da un punto di vista sociale e politico”.

Appunto, è il 1976 e l’Italia si trova a giocare la finale di Davis contro il Cile del dittatore Pinochet.

La sinistra italiana era fortemente contraria a Pinochet e quindi alla nostra trasferta in Cile. Volevano che rinunciassimo per mandare un segnale contro la dittatura. Un mese prima che si giocasse la finale, io ero in Argentina per un torneo, e nel frattempo facevo il corrispondente per Radio Rai riportando le vicissitudini di un altro regime, quello di Videla”.

Quindi lei ha vissuto alla distanza tutte le polemiche e le proteste?

Sì, mi trovavo a Buenos Aires e poi da lì sarei andato direttamente a Santiago del Cile. Ma ogni giorno chiamavo in Italia per chiedere se avremmo giocato o no. Aspettavo i miei compagni”.

Qual è stata la reazione appena ha saputo che sareste dovuti andare in Cile?

Ho pensato che fosse l’occasione della vita: io, Panatta e gli altri eravamo cresciuti insieme, eravamo più forti del Cile, e non potevamo permetterci di sciupare la possibilità di vincere la Coppa Davis. Dovevamo andare a ogni costo”.

Lei era già lì, ma Panatta e Pietrangeli raccontano addirittura di aver ricevuto minacce di morte.

Possibile, il clima era di violenza, di lotta. Il Partito Comunista voleva boicottare la trasferta, noi volevamo giocare. Alla fine, è stato bravissimo Pietrangeli a sensibilizzare il pubblico andando in radio e in televisione, a spiegare le nostre ragioni. Tanto che alla fine, il segretario del PCI Berlinguer ha dato l’ok alla trasferta. Ma ci è voluto il suo permesso”.

Una volta arrivati lì, cosa avete trovato?

Una situazione quasi surreale. Io sono arrivato prima a Santiago, e non sembrava assolutamente di vivere sotto un regime. Probabilmente avevano nascosto tutto in funzione del nostro arrivo, perché non ho notato nulla di allarmante. Per intenderci, vicino allo stadio del tennis c’era quello del calcio, e io sono andato a vedermi una decina di partite del campionato cileno”.

Infatti i match si sono svolti regolarmente e la prima giornata è finita 2-0 per l’Italia. Mancava il doppio per sollevare la coppa, il famoso doppio delle magliette rosse, lei e Panatta. Com’e nato?

La notte prima della partita Adriano è entrato in camera mia in albergo e mi ha detto che avremmo dovuto lanciare un segnale forte, indossando delle magliette rosse contro il regime e Pinochet. Io l’ho guardato e gli ho detto: ‘Ma sei scemo, questi ci sparano!’. Lui ha insistito, ha cominciato a dire che sarebbe stato un gesto simbolico, che dovevamo farlo. A quel punto, era notte fonda, ho visto che ci teneva tanto e allora ho ceduto: ‘Senti Adriano, io scendo in campo anche in mutande, quindi facciamo come ti pare ma basta che vinciamo’.

E così fu. Al ritorno in Italia come siete stati accolti?

Abbiamo aspettato un po’ per far sbollire le tensioni. Ci siamo concessi un viaggio-premio a Rio de Janeiro. Ci siamo divertiti parecchio, ce lo siamo meritati. Pietrangeli veniva a svegliarci, e andavamo a Copacabana a giocare a calcio. Poi, a casa ma nel silenzio più assoluto, a qualcuno non era piaciuta la nostra vittoria”.

Alcuni italiani hanno tifato contro di voi?

Certamente sì, a molti avrebbe fatto comodo che noi perdessimo”.

Sono trascorsi 40 anni, e quello resta l’unico trionfo azzurro in Coppa Davis. Perché?

Noi abbiamo giocato altre tre finali, poi c’è stato il buio più totale fino alla finale persa del 1998. Evidentemente, sono stati commessi degli errori, soprattutto in campo maschile, mentre le ragazze si sono tolte parecchie soddisfazioni”.

Presente nero, e il futuro?

Ancora di più, se possibile. Manca un ricambio generazionale sia tra le donne che tra gli uomini. Non siamo stati in grado di sfruttare le vittorie della mia generazione, poi di quella di Pennetta e Schiavone, per creare un movimento. D’altra parte in Italia è così, viviamo a sprazzi: a volte esce fuori un atleta bravo in una disciplina, ma sono situazioni casuali e isolate”.