Ferretti: «I miei vestiti nascono dai sogni, il romanticismo dà forza alle donne»

Alberta Ferretti, fondatrice di Aeffe: serve personalità, no agli influencer

Il Direttore Andrea Cangini con Alberta Ferretti

Il Direttore Andrea Cangini con Alberta Ferretti

CORTINA D’AMPEZZO (Belluno) - CON LEGGEREZZA. Si può passare da quattro dipendenti che cuciono abiti in un capannone di 400 metri quadrati nella provincia romagnola a un gruppo che fattura oltre 280 milioni e dà lavoro a 1.400 persone, con leggerezza. È lo stile di Alberta Ferretti, che lei definisce in un modo tutto suo. «Significa essere semplice, ma anche determinata e forte, risolvere i problemi senza inutile aggressività». Lo dice con voce dolce ma ferma, il timbro della sua Romagna, terra di donne forti e concrete. Come sua madre, «maestra di vita e lavoro».

La stilista, fondatrice dell’azienda Aeffe che produce e distribuisce marchi del lusso made in Italy, racconta la sua storia di impresa straordinaria nel secondo incontro del ciclo di interviste al Cristallo Resort & Spa di Cortina, intervistata dal direttore del Qn-Il Resto del Carlino Andrea Cangini. LA SUA è una storia semplice, in fondo, «di passione per il lavoro ma anche di tanta determinazione» perché, spiega Alberta Ferretti, il talento da solo resta sepolto. Serve fatica, impegno, perseveranza per crearsi le occasioni. Valeva negli anni Settanta quando ha aperto la sua prima boutique a soli 17 anni alla periferia di Cattolica, e vale per i giovani d’oggi «che grazie alle nuove tecnologie hanno molte più possibilità di allora». In un mondo dominato da fashion blogger, meteore made in Instagram e instant like sui social, quello che conta è «avere personalità». E anche rimanere fedeli a se stessi. Lei non ha mai «pagato nessun influencer per fare promozione», tanto per dire. Perché per lei, oltre il frastuono della comunicazione violenta e sguaiata, «la femminilità e l’eleganza sono innate e non vengono mai urlate».

Alberta Ferretti, stilista romagnola, è direttrice creativa dell’omonima linea di moda.

È la donna romantica vestita di chiffon e abiti candidi che la Ferretti ha portato sul mercato al suo esordio, andando in controtendenza con la moda della donna manager di allora. Lei che più che mai è stata manager di se stessa, senza rinunciare al suo essere donna, femminile, moglie e madre di due figli. «Il romanticismo non è debolezza ma forza». E forse il segreto del successo dei sui abiti sta tutto lì. Niente canoni estetici, muse o idoli. «Le muse sono tutte le donne di oggi – racconta – come vivono, come si muovono. Sono tutte belle, a loro modo, se le fai sentire a loro agio con quello che indossano».

DONNE comuni, come lei che ama stare in mezzo alla gente per capire dove va il mondo. «La mia boutique era la mia aula e le mie clienti le mie docenti», adora ripetere. Però c’è un ricordo, emozionante, di quando Meryl Streep le chiese un appuntamento: voleva un abito per la notte degli Oscar. La passerella più ambita. «La incontrai alle nove del mattino – ricorda –. Era sola. Semplicissima». Veste spesso di nero Alberta, il colore semplice ed elegante per eccellenza. Maxi gonna e maglia a maniche lunghe, in nero, anche ieri. I capelli biondi sfilati corti e gli occhi curiosi, la «bambina curiosa» che osservava la zia lavorare nella sartoria è sempre lì.

Come quando iniziò a sognare «il drappeggio di un tessuto» o quando, senza mai accontentarsi, intuì che il mondo della moda andava verso la grande industria e fece il grande passo: la fondazione di Aeffe coinvolgendo altri designer come Enrico Coveri e Franco Moschino e iniziando a produrre anche altri marchi. «Oggi produciamo 2 milioni di capi all’anno ma ogni designer ha la sua piccola isola, la sua sartoria dove conservare il proprio stile», racconta orgogliosa. L’importanza di mettere insieme «filiere tessili straordinarie, lo stile italiano riconosciuto in tutto il mondo». Una forza. Eppure ci sono i grandi gruppi stranieri che fanno shopping selvaggio dei nostri marchi. Anche per Aeffe sono arrivate offerte di fondi stranieri: «Ho avuto la soddisfazione di dire no. È la mia vita», sorride.