Mercoledì 24 Aprile 2024

Nettare in anfora

La rivoluzione nel 2001 di Gravner, sulle colline goriziane: "Così abbiamo riscoperto il vero sapore della Ribolla"

35ANFORE GRAVNER2837_WEB

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POCHE cose come il vino insegnano ad aspettare, a seguire i tempi della natura. A rispettarla. Almeno se ci si trova nell’azienda Gravner, sulle colline goriziane, dove l’Italia finisce e la Ribolla è di casa. Qui Francesco – Joško – Gravner, titolare dell’omonima azienda, nel 1996 ha avviato una rivoluzione sperimentando le prime macerazioni e, dal 2001, la vinificazione in anfore del Caucaso. E’ la figlia Mateja, a ripercorre le tappe della cantina di Oslavia.

Voi siete stati pionieri in Italia della vinificazione in anfora. «Nonostante piacessero moltissimo ai consumatori, a un certo punto secondo mio padre i vini non rispecchiavano abbastanza le uve, soprattutto la Ribolla. Poi, nel 1996, abbiamo avuto una terribile grandinata e non siamo usciti sul mercato. Con quel poco che siamo riusciti a raccogliere, papà ha fatto le prove di vinificazione sulle bucce: quando ha sentito il risultato della fermentazione senza lieviti aggiunti e senza controllo della temperatura ha ritrovato il sapore dell’uva Ribolla. Ha venduto le vasche in acciaio e nel 1997 ha ricevuto la prima anfora di terracotta: il risultato era commovente. Così nel 2000 è andato in Georgia per vedere se c’era ancora qualcuno che le producesse: ora ne abbiamo 46. Sono fatte a mano, senza stampo, e cosparse all’interno di cera d’api».

Quali sono le particolarità dell’anfora? «Usiamo solo anfore georgiane, che vengono interrate, con uno spessore dell’argilla dai 2 ai 3 centimetri: non c’è bisogno di controllare la temperatura perché la terra mitiga la fermentazione. Portiamo in cantina solo uve perfette, dopo una selezione pesantissima».

Usate le anfore per tutti i vini? «Abbiamo dato la precedenza ai bianchi, così i rossi sono vinificati in anfora solo dal 2006 e subiscono una lavorazione diversa con periodi in legno variabili. Le uve bianche rimangono sulle bucce fra i 5 e i 6 mesi nell’anfora, a fine febbraio, dopo la svinatura, vi ritornano: fanno 10/12 mesi totali, poi altri sei anni in botti grandi di legno. I rossi, invece, stanno sulle bucce dalle 8 alle 12 settimane. I bianchi escono dopo 7 anni e mezzo, il Rosso Gravner, ad esempio, dopo 8 anni».

Una lunga attesa. «Non ha senso mettere fretta alla natura. Una cosa che abbiamo imparato negli ultimi 30 anni, è che non esistono annate buone o cattive: non sono state fatte per noi, siamo noi che dobbiamo conviverci. Ognuna ha in sé una parte buona e una difficile: cerchiamo di far esprimere la parte migliore».

Quest’anno è un discorso con un significato particolare... «Vendemmieremo come sempre a ottobre, perché abbiamo bisogno di uve perfettamente mature. E’ stata un’annata faticosa, ma siamo stati fortunati: abbiamo avuto solo qualche piccolo danno da gelata e la siccità non l’abbiamo patita. E quando le viti fanno fatica riduciamo le quantità: viti in equilibrio portano vini in equilibrio. Su 15 ettari produciamo dalle 25 alle 34mila bottiglie, seguendo i disciplinari Doc potremmo arrivare a 3/4 volte di più. Non vogliamo ragionare in bottiglie, ma pensando che produciamo 350mila bicchieri per altrettante persone: è un gran bel risultato. Bisogna smettere di parlare solo di quantità».

Le prossime scelte? «In futuro avremo solo uve autoctone. Fra i rossi, il Pignolo: è un’uva che è stata abbastanza dimenticata anche in Friuli e molto esigente. Lavoriamo in modo biologico e biodinamico, ma non vogliamo certificazioni. Se noi contadini per primi non torniamo a curare la terra, non possiamo chiedere ad altri di farlo. Abbiamo altri alberi e stagni nei vigneti: sono cose che non si possono certificare. Vogliamo rispettare il territorio con uve che si sono adattate a quel territorio».

Altri produttori si stanno avvicinando al mondo dell’anfora. «Se non è un uso furbo, è una cosa positiva: chi è davvero convinto trova il modo di lavorare bene. Ma la condizione di base non è quale contenitore usare per la fermentazione, ma cosa si vuole trasmettere. Che idea c’è, dietro, di vino? Cosa vuoi raccontare di te e del tuo territorio?».