I maghi delle giare

La toscana Artenova realizza recipienti in terracotta per il vino: quattrocento pezzi ogni anni, il 60% della produzione va all'estero

Terracotta

Terracotta

C’ERA UNA VOLTA il ‘dolium’, con il suo pancione senza base. E c’era l’anfora, a ogiva per il trasporto sulle navi. E c’era l’orcio, che serviva a far risposare il contenuto al buio delle cantine: rivestito all’interno oppure no, per l’olio o per il vino. C’era una volta ma non è una favola, è storia che nasce qualche millennio fa ma che oggi ritrova nuovo vigore. Il vino in terracotta. Ma non necessariamente armena o georgiana, non necessariamente interrata. Può stare benissimo in superficie, con la sua brava chiusura in acciaio inox e magari quella particolare ‘candela’ in vetro, che altro non è se non un colmatore, per i periodi di affinamento. Terracotta da vino: centinaia di aziende si sono riconvertite a questo particolare, antichissimo sistema di cantina. In tutto il mondo dove ci sia un vigneto. I panciuti contenitori hanno un’origine comune: la Toscana, colline a sud di Firenze. Terra rossa e ricca, famosa in tutto il mondo. Impruneta è il cuore di questa produzione, il cotto toscano. È qui che da una decina d’anni a Leonardo Parisi – con il padre Giuseppe e il fratello Andrea alla guida dell’azienda Artenova che la famiglia aveva rilevato nei primi anni ’90, ma che fino ad allora si era occupata di terrecotte artistiche – sboccia l’idea, complice l’insolita richiesta di un imprenditore straniero, «voleva comprare la ditta – racconta – e riconvertirla per fare anfore vinarie».

Le altre realtà: Fattoria di Montecchio e Fantodi, il vino nella grande "pancia" e c'è il Barricoccio dei Masini

C’è anche un tocco di mistero, nella storia, perché il tizio sparì. Ma il seme era gettato. Oggi il 99 per cento del fatturato è rappresentato dalla produzione di giare da vino, per il 60 per cento dedicata all’export, con un centinaio di clienti in Francia, e solo in Champagne ci sono nomi come Jacques Selosse, Gallimard Père & Fils, Aubry, Nathalie Falmet. Tra i big italiani, ecco Santadi in Sardegna e Foradori in Trentino, Barba e Cirelli in Abruzzo, e poi in Toscana Ot di Oliviero Toscani, le Tenute Casadei, Il Borro di Ferruccio Ferragamo, le Tenute Casadei, Chioccioli Altadonna, piccole chicche come Petrolo a Bolgheri e Molini di Segalari in Valdarno. Quattrocento pezzi l’anno tra giare da 200, 300, 500 e 800 litri. Milioni di litri di nettare che diventano vino o che una volta vinificati si affinano e maturano nelle terrecotte. E poi giare a forma di uovo, verticali e orizzontali. Ma Artenova non è l’unico produttore, in Toscana, di terrecotte per il vino. A Tavarnelle Val di Pesa c’è il caso singolare della Fattoria di Montecchio, che produce una gamma di ottimi vini: uno di questi, il Priscus, nome che risale a un gladiatore romano, viene lavorato in grandi orci di terracotta realizzati da un’antica fornace in mezzo alle vigne della stessa azienda. Nel territorio di Impruneta, la fornace Manetti produce giare per l’azienda di famiglia, Fontodi a Panzano in Chianti: in quelle grandi pance cresce e si evolve un vino chiamato Dino, dedicato al capostipite. E i fratelli Masini realizzano nella loro fornace un oggetto particolare, il Barricoccio: tale e quale a una barrique, dal formato alla capacità di 225 litri. Il legno non c’è, e i vini – come l’omonimo rosso del Fratelli Muratori a Suvereto – manterranno intatti aromi e freschezze.