Una storia che parte da lontano: Granducato

Gli esperimenti di donna Leonia, pioniera del Granducato a metà Ottocento

Granducato

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MA NON E’ solo una moda recente, questa del pinot nero a sud dell’Alto Adige. Vincenzo Tommasi del Podere La Civettaja ripete che nei racconti dei contadini casentinesi le vigne coltivate “a francese” erano già note nell’Ottocento. E in casa Frescobaldi la vicenda è anche documentata: l’audace – per quei tempi - donna Leonia, la trisavola a cui Lamberto Frescobaldi e l’enologo Niccolò D’Afflitto hanno dedicato di recente due etichette di metodo classico, aveva impiantato ceppi di Pinot nero nel 1855, di ritorno da una lunga esperienza nelle vicinanze dello Champagne. E le sperimentazioni continuarono – si presume che ci siano stati anche i primi tentativi di realizzare un metodo classico – dopo la medaglia d’oro all’Expo di Parigi del 1878 per i vini di Pomino, uno dei quattro territori (poi diventato per estensione il Chianti Rufina) a cui nel 1716 il Granduca di Toscana Cosimo III concesse per la prima volta lo status di denominazioni vinicole.

PROPRIO l’enologo Niccolò D’Afflitto, poi, è stato protagonista qualche decennio fa del primo serio esperimento moderno di Pinot Nero toscano. Nel 1970 il marchese Vittorio Pancrazi volle reimpiantare i vigneti della fattoria di Bagnolo, Comune di Montemurlo, provincia di Prato, ma incorse in un errore da parte del vivaista che fornì, al posto del tradizionale Sangiovese coltivato in queste zone, del Pinot Nero. Che solo D’Afflitto poi riuscì a riconoscere, qualche tempo dopo, dando così il via alla più celebre esperienza toscana in fatto di Pinot nero nell’era moderna, nelle vigne situate ai piedi del Monte Ferrato. Poi, con gli anni, sono arrivati anche i vini del Chianti (Lanciola a Impruneta) e del Chianti Classico: ecco Fontodi e il Castello di Ama, ecco Colle Bereto e le Tenute Folonari. E il caso di Podere Monastero di Alessandro Cellai: nel territorio di Castellina, un Pinot nero progettato con la benedizione di Giacomo Tachis.