Giovedì 18 Aprile 2024

Nadia Zenato: Gran Lugana

L'Azienda Zenato ha rivoluzionato il vino autoctono del Garda. E' stata la prima a sperimentare la fermatazione in legno

botti vino

botti vino

UN VINO cartolina. Proprio come le vigne che ricamano i profili della pianura che si appoggia al Garda e alle vicine colline moreniche, tanto amata da Sergio Zenato, imprenditore visionario e carismatico, innamorato di quel nome – Lugana – che al femminile marca un territorio e al maschile rivela nome e blasone del vino che lui, negli anni ’60, aveva contribuito a nobilitare e fare conoscere. Manca a tutti, papà Sergio. E ovviamente alla figlia Nadia che con il fratello Alberto e con mamma Carla tiene in vita un’azienda faro nel piccolo, grande mondo della viticoltura italiana.

Un padre-pioniere e un precursore? «Voleva migliorare la reputazione del vitigno autoctono di queste parti, il Trebbiano, per produrre bianchi importanti. È stato tra i primi a sperimentare la fermentazione in legno. Lo ripeteva spesso: la vigna è un esercizio di lentezza e tenacia. Grande scuola, la sua. E anche adesso che non c’è più, in realtà sono vivi i suoi valori».

Del resto, Luigi Veronelli considerava il Lugana uno dei grandi bianchi d’Italia. «Aveva ragione. È elegante, versatile, ha una spiccata acidità e note floreali ed è anche capace di invecchiare bene, ottimo come aperitivo ma anche abbinato a piatti importanti. Comunque piace. La prova? Attualmente è uno dei vini italiani più cari, sui 4 euro al litro: 2 anni fa il suo valore era attestato sui 2,5 euro».

Vi siete messi a produrre anche bollicine? «Volevamo confrontarci con questo mondo ed è nato così il nostro metodo classico attraverso una lunga selezione di vigneti: uno spumante raffinato, con una mineralità inconfondibile. Emblematica la nostra Riserva: basse rese, un passaggio in botte grande, 6 mesi in serbatoio e altrettanti in bottiglia che esaltano i profumi».

Produzione, export, marketing: una famiglia a tutto tondo​

La rivelazione? «Il Pas Dosé, interpretando il vitigno Trebbiano lasciato riposare per anni sui lieviti».

Anima nella Lugana e un po’ di cuore anche nella Valpolicella? «Nostro padre aveva voluto diversificare l’attività aziendale e questa frazione di territorio veronese gli era sembrata perfetta: vigne su 35 ettari e varietà Corvina, Rondinella e Oseleta che danno origine al famoso Amarone. Col tempo abbiamo creato un vino che è diventato anch’esso un emblema di famiglia: il Ripassa, un Valpolicela Doc Superiore «ripassato» appunto sulle vinacce dell’Amarone».

Senza rinunciare a sperimentare percorsi inediti. «Si chiama Sansonina, progetto voluto da mia mamma e a cui ho aderito con entusiasmo. Una bella sfida: produrre del buon rosso in una terra votata al bianco, vinificando le uve di un vigneto di merlot dalle parti di Sirmione. Ma sempre con i piedi per terra, convinte che less is more, che l’umiltà è e resta una virtù. Noi ci mettiamo garbo, etica, dedizione, anche evocazioni simboliche sul carattere ciclico della vita. Senza però voli pindarici. Nel mondo del vino, la realtà ha sempre l’ultima parola».