Giovedì 25 Aprile 2024

Il Barolo è tornato ai fasti di Giuliette

Bruno Vespa

Bruno Vespa

TUTTO il merito della fama del Barolo è di Giulietta Colbert. Fu lei, sposata con Carlo Falletti, ultimo marchese del Barolo, a far conoscere questo vino nelle corti europee nella prima metà dell’800. La famiglia le fu decapitata dal Terrore della Rivoluzione Francese, lei – piccina – se la cavò, e fu Napoleone in persona a farla sposare al sant’uomo italiano. Sant’uomo davvero: le benemerenze di Falletti e della stessa Juliette furono tali che la chiesa ha aperto per questi coniugi un processo di beatificazione. La marchesa lanciò il vino prodotto nei tenimenti di suo marito. Allora si chiamava Nebbiolo Vecchio, e Juliette lo servì a Camillo Cavour, a Silvio Pellico, ma soprattutto lo fece conoscere all’estero. Nella seconda metà dell’800, il prestigio del vino decadde e gli anni bui continuarono assai oltre la metà del ‘900 perché ai danni della fillossera – e prima di quelli prodotti dal metanolo – s’aggiunse la spregiudicatezza di tanti imprenditori, che privilegiarono la quantità infischiandosene della qualità. Solo negli ultimi trent’anni il Barolo, grazie ai controlli previsti dalla legge e alle elevate capacità imprenditoriali di coltivatori selezionati, è tornato ai fasti di Jiuliette Colbert. E veniamo alle mie memorie recenti.

IL PERCRISTINA di Domenico Clerico mi è rimasto nell’anima perché fu il primo che inserii idealmente nella nuova generazione di Barolo, molto più accattivante e più adatto ai mercati internazionali. Il Barolo Monprivato di Mascarello è uno dei vini migliori del mondo. L’annata 2008 mi fece pensare alle fanciulle in fiore di Marcel Proust. Ricordo i tannini solenni del Barolo Cannubi Boschis di Luciano Sandrone. La sorprendente, morbida freschezza del Barolo Cerequio di Roberto Voerzio in genere mantenuta a quasi vent’anni dall’invecchiamento. Ricordo Bruno Ceretto e Giacomo Conterno. Il Bricco Rocche 2000 del primo e il Monfortino del ’97 del secondo. Il Monfortino ha un retrogusto spettacolare. Bricco Rocche esalta al meglio la tradizione. Il Falletto di Serralunga d’Alba di Bruno Giacosa mi impressionò per la voce tenorile. Accanto alla potenza e alla tradizione, squillava il desiderio di novità. Al Barolo di Elio Altare va il merito di aver messo i jeans a un vitigno che per troppi anni è stato intimidente. E ancora Pio Cesare, Prunotto, Mauro Veglio, con molte scuse ai troppi che ho dimenticato. Il mondo del Barolo deve molto a due macchine da guerra come Gianni Gagliardo e Silvano Boroli. Gagliardo, alla guida dell’Accademia del Barolo ha valorizzato questo vino in campo internazionale come ha fatto Silvano Boroli. Del primo si ricorda il Classico del Preve, del secondo Il Barolo Cerequio.