Sordomuti contro lo Stato: "Non c'è lavoro, risarciteci"

Una class action di 42 disabili sordomuti contro lo Stato. In forza della direttiva comunitaria 78 del 2000 sull'uguaglianza in materia di occupazione". A sostegno anche la sentenza del 4 luglio di un anno fa in cui la Corte di Giustizia europea ha condannato l'Italia per mancato recepuimento di quella direttiva. Un legale: "Il tasso di occupazione delle persone con disabilità in Italia era del 19,3%, a fronte del quasi 56% dei lavoratori non disabili"

Roma, 11 luglio 2014  - Molti di loro non hanno un posto di lavoro da anni, altri non l'hanno mai avuto. E adesso, per questo, chiedono di essere risarciti dallo Stato. Sono 42 i sordomuti dalla nascita, che - primo caso in Italia - si sono rivolti ad un pool di legali romani per far valere le proprie ragioni: dalla loro parte, la direttiva comunitaria 78 del 2000, quella sull'"uguaglianza in materia di occupazione". 
 
E, soprattutto, la sentenza del 4 luglio di un anno fa con la quale la Corte di giustizia Ue ha condannato la Repubblica italiana per il mancato recepimento di quella direttiva, ovvero per non aver adottato tutte le misure necessarie a garantire un adeguato inserimento professionale dei disabili. 
 
"La privazione del lavoro - scrivono gli avvocati Massimo Cerniglia, Settimo Cerniglia e Marco Saverio Montanari nell'atto di citazione contro lo Stato italiano - per i sordomuti concreta un vero e proprio isolamento sociale, che si unisce a quello acustico ed aggrava enormemente la loro situazione". La legge numero 68 del '99, tutt'oggi in vigore, ha come finalità la promozione dell'inserimento e dell'integrazione dei disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e collocamento mirato ed è applicabile a tutte le categorie di disabili, compresi i non vedenti o i sordomuti. Peccato che, statistiche alla mano, tale impianto normativo si sia rivelato "un autentico disastro, in quanto secondo l'Istat nel 2002 e, quindi, ben prima della grave crisi che ancora attanaglia il nostro Paese, il tasso di occupazione delle persone con disabilità in Italia era del 19,3%, a fronte del quasi 56% dei lavoratori non disabili". 
 
E "dopo ben otto anni, nel 2010, il livello di occupazione dei disabili è sceso al 18%, a fronte del 54% e più dei lavoratori non disabili". Sempre da quest'ultima rilevazione emerge come "solamente il 30% dei disabili abbia trovato un impiego attraverso gli uffici di collocamento (alle cui liste speciali tutti i ricorrenti risultano regolarmente iscritti, ndr) mentre gli avviamenti al lavoro nel 2007 sono stati circa 31.000 a fronte di 700.000 disabili iscritti al collocamento". 
 
In sostanza, secondo i legali, "il tasso di occupazione dei lavoratori disabili dimostra, al di là di ogni dubbio, l'inefficacia della legislazione italiana e la grave discriminazione che i disabili continuano a subire". Giusto un anno fa, anche i giudici della Corte europea hanno accolto i rilievi mossi all'Italia nel giugno 2011 dalla Commissione europea nella procedura di infrazione, conclusasi con il deferimento del nostro Paese, ritenendo "insufficienti le garanzie e le agevolazioni previste a favore dei disabili in materia di occupazione dalla normativa italiana". 
 
In particolare, secondo la Corte del Lussemburgo, le norme nazionali violano il diritto comunitario in quanto non recepiscono l'articolo 5 della direttiva in questione. Per i legali l'inadempimento commesso dalla Repubblica italiana è "grave" e "manifesto" in quanto "ha creato una totale compressione e frustrazione dei diritti riconosciuti ai disabili dal diritto comunitario". Evidente, di conseguenza, il danno patito dai ricorrenti, "consistente non solo nel mancato percepimento di retribuzioni per tutta la durata della disoccupazione, ma anche da un punto di vista morale ed esistenziale". 
 
Per i ricorrenti, "il dato di partenza per la quantificazione dei danni in via equitativa deve partire dall'epoca dalla quale gli attori sono disoccupati". E "potrebbe essere pari a 500 euro per ogni mese di sofferta disoccupazione". La citazione, secondo l'avvocato Massimo Cerniglia, "può costituire non solo una opportunità per le persone con disabilità per far valere i propri diritti costituzionalmente garantiti, ma anche uno strumento di pressione nei confronti dello Stato affinché rimetta mano alla legge e renda effettivo l'avviamento al lavoro dei disabili. Così come sono messe le cose adesso, questi ultimi hanno molte meno chance di trovare un impiego rispetto a tutti gli altri lavoratori. Una discriminazione palese, da sanare al più presto, come anche l'Europa ci impone".