Sindrome di Narciso

SE LA MALATTIA più grave dell’Ottocento era la tisi, forse quella più preoccupante dei nostri tempi è il narcisismo. Di tisi si moriva giovani e fra grandi sofferenze, basti pensare a Violetta Valery e a Chopin nei suoi ultimi giorni parigini. Di narcisismo non si muore, né si soffrono espettorazioni di sangue che preludano al soffocamento, ma ci si consuma come il tronco di una pianta, all’apparenza sanissimo, in realtà è roso dalle termiti o dal verme del rodilegno.

La pianta è l’anima, con un linguaggio spiritualistico, o il cervello, la mente, la psiche, se si preferisca un termine post freudiano. Il blogger è figlio di quest’apparenza così sana, anzi vitale, ubiqua, mai in sonno, mai in ritardo, mai fuori tendenza. Più che giovane, eterno, se tale appare chi non perda mai il mutamento. Una metastasi superomistica protesa a diffondere un perpetuo inseguimento delle tendenze e delle mode, degli influssi e del gradimento. E quindi aggiornato su uno specifico campo, magari tratto da una delle proprie manie o passioni, fino a farsi autorità indiscussa, ambita, invidiata. Unica. Preda della corsa febbrile alla santificazione suprema del primato: farsi virale, e cioè in pochi secondi capace di cogliere l’osanna del «mi piace» di migliaia di ‘amici’.

AMICI? La pregnanza di un antico termine la cui radice è la stessa di ‘amore’, è andata perduta in un mondo di ombre di cui mai sentiremo l’odore, la parlata, il dialetto, la risata. In una parola il volto. Solo un nome resta e una foto che sorride. La carne non importa più. Faceva perdere tempo con umori, sentimenti, simpatie, pulsioni, affetti.

E così è sempre più arduo sottrarsi alla suggestione del social network che ti investa col nuovo mestiere di blogger di una capacità di intervento nelle menti simile alla magia. La fulmineità del contatto e delle informazioni sostituisce la realtà. Le si sovrappone come un sovra-mondo dove l’approssimazione è vinta, domate le malattie dell’incertezza e della possibilità. Farsi riprendere con quel prodotto, per una pubblicità che metta in vena nel mondo quella marca e quella sola, accanto alla tua faccia che sorride, infine certifica la tua felicità: appari, quindi esisti. Ma non potrai più farne a meno, non potrai più smettere di inventarti ogni giorno un post. È questo l’inferno in cui si perde il superuomo del blog.