Venerdì 19 Aprile 2024

Venezia: il mondo di carta di Simone Massi, animatore resistente

Simone Massi, 44 anni, autore della sigla della Mostra del Cinema dal 2012, è uno dei massimi rappresentanti dell’animazione contemporanea d’autore

Simone Massi

Simone Massi

Venezia, 4 settembre 2014 - Più  di Al Pacino, Emma Stone o Andrew Garfield, c’è una faccia che gli habitué di Venezia hanno frequentato più spesso di questi divi, anche se non lo sanno. Simone Massi, 44 anni, autore della sigla della Mostra del Cinema  dal 2012, è uno dei massimi rappresentanti dell’animazione contemporanea d’autore. Ha alle spalle 227 premi in 60  Paesi del mondo, e, dato singolare, in vent’anni di lavoro ha prodotto un’ora e 20 di cinema, perché realizza i suoi film disegnando a mano ogni singolo fotogramma, utilizzando una tecnica simile all’incisione, in cui la materia viene scavata, graffiata, in una continua opera di sottrazione, cerca una sintesi intima e poetica della realtà. Al Lido è giunto mercoledì 3 settembre con due opere: il suo corto L’attesa del Maggio, nella sezione Orizzonti, e il film dei giovani esordienti Francesco Montagner e Alberto Girotto, Animata Resistenza, proposta fra gli speciali di Venezia Classici. Ci accomodiamo sulla leggendaria spiaggia dell’Excelsior e il meteo segue l’umore di Simone. Che pare un pesce fuor d’acqua. Uno che vive la sua vita e il lavoro, non curandosi dello star system che scorre intorno a lui, in queste giornate frenetiche. 

Un uomo e una donna camminano in silenzio, fra i boschi e i campi delle colline marchigiane. Un momento di Animata Resistenza. Lui porta una sciarpa rossa al collo. E’ questo il mondo di Simone, animatore resistente. Un mondo di natura  e libertà, votato ai valori della terra. Attraversiamo i luoghi che hanno ispirato la sua  opera e le immagini che lo hanno reso noto in tutto il mondo: Nuvole e mani (2009), Tengo la posizione (2001), La memoria dei cani (2006) e Dell’ammazzare il maiale (2011). Ma lui ha scelto di vivere isolato nella campagna di Pergola, dov’è nato. Umanista e animalista, che resiste ai canti delle sirene mediatiche.

Simone, dal film si intuiscono alcune sue condizioni imprescindibili per lavorare. Quiete, ritmi lenti, distanti dalla metropoli. "Mi piace disegnare in posti tranquilli. Dove c'è silenzio, dove ci sono quei soggetti che poi finiscono nei miei cortometraggi. Possibilmente la campagna marchigiana e quelle figure che mi spirano, come gli anziani, i contadini e gli animali".

Perché questi, e non altri? "Sono le persone che ho sempre avuto intorno fin da bambino. A differenza di alcuni miei colleghi che riescono a esprimersi in luoghi affollati o addirittura nei bar io ho bisogno della finestra di casa mia, da cui guardare il paesaggio".

Una domanda  per voi realizzatori, Montagner e Girotto, di 24 e 25 anni. Come è nata l’intesa con Simone? "Ci siamo conosciuti poco prima di fare il film, a una produzione teatrale. Era il festival Animation di Ca’ Foscari dove lui era ospite. Abbiamo capito di avere in comune gli stessi interessi, la civiltà contadina, il ritmo di vita normale. Quello da dove noi veniamo. Lavoriamo in uno studio, facciamo spot e video aziendali. Con l'ambizione di fare del cinema Il progetto che ci vede insieme nasce all’interno di Fucina del Corāgo. Volevamo presentare Simone Massi come uomo, prima che come artista. C’è qualcosa di incontaminato in lui, che cerchiamo di incarnare nel nostro film, in cui è possibile ritrovare la bellezza, i valori e lo spirito interiore di Simone. Abbiamo vissuto in intimità  con lui per entrare nel suo mondo".

Poi, si vedono molti incontri.

"Sì, con i partigiani Dillo Ceccarelli, Woner Lisardi, Liliana Fedeli, Bruna Betti. I contadini Oreste Tagnani e Giuseppe Ligi, il poeta dell’eremo Giovanni Mazzoni".

Massi, lei è affermato all'estero e relativamente poco in Italia, come se lo spiega? "Dico la verità: io ho dedicato il mio tempo e le mie energie a lavorare e a farmi meno domande possibile. Quelle accettate da chi vive un certo tipo di società e di nazione. È una cosa che è successa. Da un certo punto di vista mi può far piacere".  

La Resistenza per lei ha un grande valore. "Mi piacevano gli italiani di una volta, non riconoscendomi nelle generazioni di adesso, soprattutto l’ultima, parecchio diversa da me. E in questo particolare periodo della mia vita gli anziani partigiani e la natura sono le cose più importanti da raccontare al pubblico. Mi impensierisce e commuove molto che un'epoca possa collassare ed essere cancellata".  E’ stato operaio. Come vede, ora, quel mondo? Lontano? "Io sono molto distante dagli operai carogna e dal patronato. Non ho lasciato la fabbrica perché mi sentivo superiore ai miei compagni o perché volessi fare l'artista. L'ho lasciata perché alcuni operai erano cattivi contro gli altri. Tutti i lavori sono dignitosi, ma se lo fai con persone sgradevoli è meglio cambiare aria. Comunque i miei famigliari e i miei fratelli sono ancora operai. E anche il fatto che io abbia scelto di vivere lontano dalle luci significa che sono rimasto fedele a ciò che sono stato. Non ho l'ambizione di scalare delle posizioni o andare allo scontro. Sono umile, sto in disparte e dove arrivo arrivo".

Non è quindi una forma di snobismo? 

"Assolutamente no. Mi ha fatto molto piacere che nonostante la mia ritrosia mi abbiano chiamato. Spero ciò abbia delle influenze sul mio lavoro. Devo dire però che non ho ricevuto due telefonate in tre anni di lavoro".

Firma il contributo più visto in Mostra, ma si capisce che vorrebbe essere lontano, a creare. Dallo sguardo, dalla postura, dal sorriso. Nella sarabanda dei presenzialisti a tutti i costi, una persona. Non un personaggio.