Sfida finale a sinistra

La sinistra italiana vive di miti, che coltiva e alimenta nell’immaginario collettivo rendendoli dogmi assoluti, totem intoccabili. Alla prova dei fatti e della storia, miti spesso falsi. Talvolta miti pericolosi. Lo statuto dei lavoratori è, appunto, un mito. Il Pci — che in origine lo avversò — lo ha piazzato su un piedistallo di retorica e ne ha fatto un monumento, al pari della Costituzione. Cioè l’esatto contrario di quello che dovrebbe essere un organico quadro legislativo: duttile e flessibile così da rispondere alle esigenze di un Paese assillato da problemi che non sono quelli di quarantacinque anni fa. Invece no. Proprio come la Costituzione — progressivamente invecchiata eppure intoccabile — così lo statuto dei lavoratori è la bandiera ideologica dietro cui sinistra Pd e Cgil vorrebbero raccogliere le loro sempre più sparute truppe. Operazione pericolosa, perché l’ideologia è il pane preferito delle menti deboli e qualche fanatico pronto a mettere mano alla pistola si trova sempre. Sergio Cofferati, che pontifica dal suo comodo e ben retribuito pulpito europeo, qualche scrupolo dovrebbe avercelo.

La stagione di scontro ideologico che la sua Cgil contribuì ad alimentare portò a tragiche conseguenze. Marco Biagi fu ucciso dalle Br per aver osato pensare regole del lavoro più flessibili (poi diventate troppo flessibili, ed è su questa degenenerazione che il Governo, ora, vorrebbe intervenire con il contratto unico a tutele crescenti).

Ma la sinistra italiana non ha mai imparato granché dalla storia. Troppo dolce farsi cullare dal vento dell’ideologia, troppo facile solleticare la pancia di quel che resta della vecchia base comunista. L’avvento di Renzi ha scosso il Pd, gran parte della vecchia classe dirigente è stata rottomata. E ora i rottamati vedono nella battaglia ideologica sull’articolo 18 l’occasione buona per farla pagare al giovane segretario. Anche a costo di portare indietro le lancette dell’orologio, abbandonando la via riformista e tornando a un Pd post comunista. E perfino rischiando di risvegliare istitinti pericolosi e mai sopiti in certe frange estreme della società. D’Alema, Bersani, Bindi, Camusso, Cofferati: ombre rosse si muovono alle spalle di Renzi.

Tira una brutta aria, è già cominciata la consueta opera di demonizzazione dell’avversario, immediatamente accusato di tradimento dei sacri valori della sinistra e di intelligenza col nemico (l’odiato Berlusconi). Ecco perché l’articolo 18 è la sfida delle sfide. Non è in gioco solo l’aspetto tecnico della cosiddetta reintegra, tutto sommato marginale. Lo ha ben capito il presidente Napolitano: il governo è al bivio tra riforme e conservazione. Altro che Senato e legge elettorale. Se il premier perderà questa partita, l’Italia resterà quella che abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni: vecchia, debole, ingessata, condannata al declino.