Martedì 23 Aprile 2024

Scozia, dal petrolio alle banche: cosa accadrebbe con l'indipendenza

Gli economisti si interrogano da mesi su quali sarebbero le conseguenze economiche del divorzio di Edimburgo dal Regno Unito

Il premier indipendentista scozzese Alex Salmond (Ap)

Il premier indipendentista scozzese Alex Salmond (Ap)

Roma, 17 settembre 2014 - L'esito del referendum sull'indipendenza della Scozia appare estremamente incerto, ma gli economisti si stanno interrogando da mesi su quali sarebbero le conseguenze economiche del divorzio di Edimburgo dal Regno Unito. Il nuovo Stato, con una popolazione di 5,3 milioni di abitanti e un'estensione territoriale pari a quella della Repubblica Ceca, potrà sicuramente contare su un sottosuolo ricco di idrocarburi, sulle esportazioni di distillati e su una fiorente industria turistica, mentre è tutto da scrivere il futuro di un settore finanziario oggi grande dieci volte un Pil da 211 miliardi di dollari (circa le stesse dimensioni di economie come il Qatar e la Grecia), con le maggiori banche che valutano di trasferire la sede a Londra nel caso prevalgano i sì. 

Alex Salmond, il premier indipendentista scozzese, ha assicurato che la Scozia (che già stampa da sola le sue banconote, diverse per grafica e dimensioni da quelle emesse in Inghilterra) potrà continuare a utilizzare la sterlina anche dopo la secessione, una possibilità che, invece, i leader dei principali partiti a Westminster escludono radicalmente. Non manca a Edimburgo chi propone un ingresso nell'euro, sebbene, nel breve periodo, l'ipotesi più facilmente percorribile potrebbe essere l'emissione di una nuova valuta da agganciare all'euro con un cambio fisso (come avviene, ad esempio, con il lev bulgaro) in attesa dell'adesione alla moneta unica. 

L'INCOGNITA DELL'INFLAZIONE - Una nuova valuta agganciata all'euro potrebbe anche attutire il concreto rischio di una rapida svalutazione nei confronti della sterlina che potrebbe causare forti aumenti dei prezzi al consumo pagati dagli scozzesi, in particolare per quanto riguarda i beni importati dal Regno Unito. Un agganciamento alla sterlina, secondo alcuni analisti, sarebbe invece da evitare, in quanto ridurrebbe lo spazio di manovra di Edimburgo in campo fiscale e monetario. Salmond, ad ogni modo, appare disposto a discutere almeno un'unione doganale con Londra, per evitare ulteriori costi per le imprese.

LE BANCHE PENSANO AL TRASLOCO - In Scozia hanno sede due colossi come Royal Bank of Scotland e la banca commerciale Bank of Scotland, controllata dal gruppo Lloyds. Entrambi gli istituti, insieme a Clydesdale e Tesco, hanno fatto sapere che, se vinceranno i sì, saranno costretti "per motivi tecnici" a spostare la sede da Edimburgo a Londra. Rbs ha comunque garantito che non ci saranno nè trasferimenti forzati nè tagli dell'occupazione. Si tratterebbe, in definitiva, di una scelta obbligata dato che sia Rbs che Lloyds, nazionalizzate ai tempi della crisi finanziaria del 2008, hanno ancora il governo britannico come principale azionista. 

LA PARTITA DEL PETROLIO - E' nelle acque territoriali scozzesi che si trovano quei giacimenti del Mare del Nord dai quali proviene larga parte della produzione petrolifera del Regno Unito. Nei 18 mesi che Salmond prevede saranno necessari per gestire la secessione insieme a Downing Street, uno dei principali temi da discutere sarà quindi la spartizione dei ricavi delle attività estrattive, che contano per il 19% del Pil della Scozia e per il 2% dell'economia dell'intera Gran Bretagna. Ricavi che, però, continuano a scendere, sia per il forte calo dei prezzi sui mercati internazionali che per il tracollo della produzione, diminuita del 40% solo negli ultimi quattro anni. I proventi fiscali, invece, resterebbero alla Scozia, che avrebbe quindi la possibilità di costruire un fondo per il welfare alimentato a idrocarburi, seguendo l'esempio norvegese. Le grandi major petrolifere, tuttavia, si sono schierate con il no. Bob Dudley e Ben van Beurden, numeri uno di Bp e Royal Dutch Shell, hanno affermato che conservare l'unione con Londra "sarebbe positivo per l'industria petrolifera e l'economia". Il timore degli operatori è che una Scozia indipendente non possa garantire gli investimenti necessari.

TASSE PIU' BASSE PER ATTRARRE INVESTIMENTI - Per attrarre investimenti esteri, Salmond promette che la neonata nazione avrà un sistema fiscale "competitivo". Che aprire le porte alle aziende straniere grazie a un erario autonomo possa essere una delle carte vincenti di una Scozia indipendente lo ha dimostrato lo stesso premier britannico David Cameron che, per scongiurare la vittoria dei sì, si è precipitato a promettere agli scozzesi più libertà decisionale in questo settore.

MA I CITTADINI RISCHIANO LA STANGATA - Secondo l'Institute for Fiscal Studies (Ifs), una Scozia indipendente soffrirà all'inizio di un 'fiscal gap' pari quasi al 2%. Per compensare la perdita per l'erario, prosegue l'Ifs, Edimburgo potrebbe essere costretto ad aumentare dell'8% la tassa sui redditi o incrementare l'Iva del 7%. In alternativa, la Scozia potrebbe ridurre la spesa pubblica del 6% o tagliare i servizi pubblici dell'8%. "L'indipendenza può avere i suoi costi, per quanto essi debbano ancora essere dimostrati, ma ha anche i suoi benefici", osserva Joseph Stiglitz, il premio Nobel che fa parte della squadra di consulenti economici del fronte indipendentista.