L’interruttore che spegne le reazioni autoimmuni

La scoperta di un team di Bristol per curare malattie come il diabete giovanile e la sclerosi multipla: rieducare le cellule aggressive attraverso dosi a scalare, come nel vaccino contro le allergie

L'immunoterapia potrebbe essere applicata alla cura del diabete giovanile e della sclerosi multipla

L'immunoterapia potrebbe essere applicata alla cura del diabete giovanile e della sclerosi multipla

Milano, 3 settembre 2014 — Sarebbe bello disarmare con un click gli agenti aggressivi che scatenano malattie come la sclerosi multipla o il diabete giovanile. Bello e impossibile, così è stato per tanti anni. Un articolo pubblicato su Nature Communication ha riacceso il dibattito (e le speranze). A lanciare il sasso nello stagno sono stati ricercatori britannici dell’Università di Bristol guidati da David Wraith, professore di patologia sperimentale, sostenendo in uno studio di aver individuato i presupposti per mettere a punto una efficace e sicura immunoterapia antigene specifica. Che cosa vuol dire? Significa procedere come avviene con i vaccini che curano una vasta gamma di allergie, attraverso somministrazioni successive personalizzate, il procedimento ipotizzato si definisce in gergo tecnico desensibilizzazione. Un metodo (che finora ha funzionato solo per certi tipi di allergie) che vada a rieducare (anziché uccidere) le cellule cattive, quelle che si rivoltano contro le stesse strutture dell’organismo nel quale vivono.

Meccanismi perversi che si ritrovano non solo nel diabete e nella sclerosi a placche, ma anche in altre malattie su base autoimmune come il morbo di Basedow che attacca la tiroide, il lupus eritematoso sistemico e in generale le malattie reumatiche e quelle che attaccano il connettivo. Nel caso delle patologie autoimmuni, il traguardo consiste nell’insegnare alle cellule ribelli che non è conveniente scatenare una guerra fratricida, e questo potrebbe avvenire con l’inserimento di brandelli di proteine (antigeni) che facciano scattare l’interruttore di cui parlavamo prima, in modo da spegnere definitivamente l’aggressione. Quello che abbiamo trovato, ha affermato da parte sua Bronwen Burton, ricercatrice di punta del gruppo di Bristol, è che somministrando specifici frammenti proteici del mosaico antigenico ​​in una forma solubile siamo stati in grado di desensibilizzare il sistema immunitario, attraverso dosi progressive.

Il team spera che la scoperta potrebbe portare allo sviluppo di immunoterapie per le singole condizioni, basato sulla proteina o antigene che il corpo accusa in maniera conflittuale. Dopo i primi risultati sperimentali, gli autori dell’articolo riferiscono che la tecnica è in fase di sviluppo attraverso l’azienda biotech Apitope, spin-off dell’Università di Bristol. Lo scopo è fare un passo oltre le terapie immunosoppressive, che causano effetti collaterali legati a infezioni e abbattimento delle difese contro i tumori, per ripristinare i meccanismi regolatori naturali. Per il Professor Wraith, occorre puntare allo sviluppo di una immunoterapia antigene-specifica, si aprirebbe così un capitolo straordinario della farmacologia applicata alla cura dei disturbi su base autoimmune.

Prospettive interessanti, ma è appena il caso di ricordare che per fortuna, nel caso della sclerosi multipla, già ci sono ora importanti farmaci disponibili, anche semplici compresse che si prendono per bocca, mentre altre molecole promettenti sono in dirittura d’arrivo, se ne parlerà a Boston la prossima settimana al congresso Actrims-Ectrims. In un prossimo futuro i ricercatori sperano di poter mettere a punto farmaci ancora più sofisticati, anticorpi monoclonali  e non solo, capaci di individuare e fare leva sull’interruttore che accende le reazioni disattivando i processi autoimmuni.