Giovedì 18 Aprile 2024

Populismo globale

Roma, 28 aprile 2016 - Era estasiato Matteo Salvini nella foto accanto a Donald Trump che trionfa nelle primarie repubblicane. Entrambi col pollice alzato si augurano vittoria, entrambi sono in urto frontale non solo con i democratici, ma anche con i moderati del proprio schieramento. Lasciamo da parte le reciproche convenienze, gli specchietti destinati agli elettori italo americani per l’uno, l’eterna sceneggiata italica con l’amico americano per l’altro. Quel che conta è che i populisti, tutti i populisti, escono dal cortile di casa per darsi una dimensione e un’immagine internazionali. Non fanno più ridere, sono diventati un’opzione reale. Si era già visto con la Le Pen: non potendo per incompatibilità storica affratellarsi con la destra post fascista italiana, ha scelto la Lega. Poi la scena si è ripetuta con le congratulazioni a Norbert Hofer, il leader nazionalista fresco vincitore al primo turno delle presidenziali in Austria.

INCURANTE che la minacciata chiusura della frontiera del Brennero costituirebbe un danno rilevante, Salvini ha enfatizzato il messaggio comune. No agli immigrati, sì al ripristino dei confini che porrebbero fine a Schengen e alla libera circolazione,il senso stesso della Ue. L’internazionalizzazione non attrae solo la destra, anche il Movimento 5Stelle, il più anti ideologico dei populismi, si è messo in moto e con i viaggi promozionali di Di Maio cerca sponde, ascolto, riconoscimenti nelle capitali europee mostrando un volto giovanile, per bene, pettinato agli antipodi del grillismo delle origini. Intanto la vecchia sinistra di Sanders, di Corbyn, persino di Hollande, che la dimensione internazionale ce l’ha nel Dna, apre a New York agli adepti di Occupy Wall Street, a Parigi di Nuit débout, a Madrid di Podemos e agli altri frammenti di una retorica politica che non riesce a essere nuova. All’alba della globalizzazione, messe fuori mercato dalle multinazionali e dalla finanza globale, dal dumping sociale e ambientale dei grandi paesi emergenti come la Cina, le prime a ribellarsi furono le piccole imprese, i territori con le loro ricchezze, le loro culture e identità compresse. Guardavano all’Europa che sembrava ancora poter proteggere l’improvvisa fragilità di lavoratori, coltivatori, artigiani e all’Europa guardavano speranzose anche le regioni e i movimenti, come la Lega, in rivolta contro gli stati nazionali. Ma la globalizzazione è una tigre che non si cavalca. I governi e i partiti tradizionali che ci hanno provato oggi sono in rotta o in affanno, i populismi aggressivi in progresso.

È CRESCIUTA in particolare un’estrema destra anche becera ma senza complessi verso le classi dirigenti contro le quali sfrutta la paura del futuro, dell’immigrazione e della minaccia islamista. E, ormai, la questione non riguarda più solo l’Europa ma nella stessa misura anche gli Stati Uniti. «Gli americani – ha scritto il New York Times commentando Trump – non stanno diventando matti. Semplicemente assomigliano di più agli europei». Ma è proprio così? A Obama, cui sta a cuore l’unità europea e che critica i governi che erigono muri, Angela Merkel e tutti gli altri si sono dimenticati di rispondere che il primo muro l’hanno costruito gli Usa alla frontiera col Messico, lungo 3.000 km.