Mercoledì 24 Aprile 2024

Più coraggio sulle riforme

Roma, 24 giugno 2016 - Dopo che il Pd ha dimezzato il numero dei propri sindaci le critiche e le contestazioni a Renzi si sprecano: dai 5 Stelle al centro destra, dalla minoranza interna a un’opinione pubblica delusa o indignata dagli scandali locali, ma anche da Renzi. Esperti e opinionisti hanno fornito analisi divergenti delle ragioni di una sconfitta e terapie diverse per invertire la china discendente. Quelli vicini rimproverano a Renzi lo sradicamento dalle tradizionali basi sociali che fornivano al PCI, PDS, DS militanti, attivisti e consensi e quindi di aver perduto a sinistra senza sfondare al centro. Quelli distanti lamentano l’abbandono del cilicio dell’austerità, l’ingordigia di posti e potere e l’arrogante solitudine del “capo” che privo di una vera classe dirigente, anziché mettere alle corde il Movimento 5 Stelle ha isolato se stesso. Analisi non sempre giuste e che comunque toccano piuttosto le conseguenze che le cause di quel che è accaduto.

LA METAMORFOSI del PD in partito di governo e di potere non comincia con Renzi, è in corso da vent’anni e Renzi ha perso rispetto al se stesso delle europee non rispetto a Bersani. Quanto all’arroganza del capo certo non è fatta per piacere, ma verrebbe acclamata se fossero stati conseguiti risultati importanti. In verità un miglior intuito l’ha dimostrato lo stesso Renzi quando, commentando a caldo i risultati, ha interpretato la vittoria dei 5 Stelle come espressione di un voto non di protesta ma di cambiamento. Ancora speranzoso, già all’indomani del primo turno, aveva osservato che “ormai gli elettori fanno zapping” cioè cambiano il voto come si cambia canale tv. E’ possibile, in fondo viviamo in un tempo segnato dal volubile dominio dei mercati, in società dell’incertezza e dell’insicurezza, società liquide come acqua che scorra. Come si è visto anche il voto degli inglesi sulla Brexit ha subito oscillazioni continue all’insegna dell’emotività. Dunque, fa bene Renzi a voler raccogliere la sfida al cambiamento dei 5 Stelle purchè abbia capito di aver sbagliato non per eccesso ma per difetto di audacia riformatrice. Finora non avendo un vero progetto ha disperso le sue energie – Jobs Act a parte - in politiche estemporanee e superficiali, fatte di annunci, mance e timidi negoziati con Bruxelles. Questo giornale insiste da tempo che una ripresa vera esige un programma di investimenti pubblici e di defiscalizzazione finanziabili solo con tagli corrispondenti della spesa corrente, con mirate liberalizzazioni e privatizzazioni e rischiando la sfida vera con Herr Schauble. Il fiasco totale della cosiddetta ‘buona scuola’ va virilmente riconosciuto per ricominciare da capo mettendo al centro la piaga degli abbandoni scolastici e il calo dei laureati, la qualificazione degli insegnanti e un serio piano per la ricerca. Incassato il flop del Migration compact quel che occorre subito è una politica di controllo degli ingressi e di integrazione degli immigrati che non può essere scaricata solo sui comuni né appaltata alle ONG. Infine la riforma costituzionale va ri-presentata non come una svolta storica ma come il primo, emendabile passo di una strategia di rinnovamento costituzionale. Quanto alla legge elettorale faccia Renzi quel che ha detto avrebbe voluto fare sin dall’inizio dunque abroghi l’Italicum e restauri la legge Mattarella.