Venerdì 19 Aprile 2024

Repubblica Centrafricana, dal genocidio al voto: viaggio nel Paese che vuole uscire dall'orrore / REPORTAGE

Reportage con la missione della Nazioni Unite in un Paese di 4 milioni di abitanti che conosce bene la guerra civile, i massacri tra musulmani e cristiani, la povertà, il terrorismo e la voglia di rinascere. Nella capitale Bangui l'incontro con il generale portoghese Luis Carrilho, l’architetto dell’ordine pubblico, l’unico uomo in uniforme della missione Onu "Minusca" che si muove senza pistola

Il prefetto di Bria, nella Repubblica Centrafricana, con il nostro inviato Giampaolo Pioli

Il prefetto di Bria, nella Repubblica Centrafricana, con il nostro inviato Giampaolo Pioli

BRIA (Repubblica Centro Africana), 29 marzo 2015 - Proveranno a votare in agosto. Altrimenti riesploderà la guerra civile col ripetersi dei  massacri fra musulmani e cristiani. La tregua fragilissima, regge da  un mese in una situazione quasi irreale, ma da queste parti i bambini continuano ad avere più armi che libri di testo in mano. I segni della violenza in questo paese di 4 milioni scarsi di abitanti, sono dappertutto, anche sulle fiancate dei gipponi dell’Onu perforate dai proiettili. I contorni della piccola pista marrone dell’aeroporto di Bria nel cuore verde della Repubblica Centrafricana vengono marcati dalle case di fango spesso senza tetto  che avanzano come un’onda sporca verso le eliche bianche  dei jet delle Nazioni Unite. La gente sa che che oltre ai soldati coi caschi blu della Minusca ("United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic"), questi voli portano nella stiva anche cibi in scatola e  qualche medicina. Sa anche molto bene  che i piccoli aerei privi di insegne  che atterrano e si alzano senza alcuna autorizzazione, sono invece quelli pericolosi che trasportano diamanti clandestini strappati dalle miniere spesso con lavori forzati. L’ambasciatore francese alle Nazioni Unite Francois Delattre, il suo collega angolano Gaspar Martins e l’ambasciatrice americana Samantha Power hanno trascinato dopo oltre 20 ore di volo l’intero Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul campo  per avere contatti di prima mano con una popolazione intimidita e rassegnata, con guerriglieri scettici e con funzionari locali impotenti e spesso corrotti o compromessi. Quello che è in corso nella Central African Republic è un’operazione di stabilizzazione e integrazione difficilissima e dai risultati amcora imprevedibili, ma è l’unica in grado di scongiurare la ripresa di un bagno di sangue col coinvolgimento anche di centinaia di bambini soldato rubati alle famiglie e con la contaminazione dei terroristi di Boko Haram che sono già presenti sulla sponda del Camerun.

Pur avendo convissuto per decenni e sotto dittatori diversi, dopo l’indipendenza dalla Francia negli anni '60, un anno fa cristiani e musulmani sotto la spinta dei signori delle armi e dei saccheggiatori penetrati attraverso confini fragilissimi dal Chad dal Congo dal Cameron e dal Sudan, hanno iniziato a spararsi addosso. Posti di blocco criminali nelle zone d’ingresso delle città, pretendono pedaggi fino a 2000 dollari per camion e nessuno si sottrae se non vuole morire o perdere l’intero carico. Giovani mamme incinte a 12 anni conseguenze dei recenti stupri di guerra, cucinano all’aperto raccogliendo acqua scura dalle pozzanghere. Bria a due ore di volo da Bangui,  la capitale che De Gaulle visitò nel 1940 come terra di conquista e Bocassa usò nel 1965 trasformandola nel pacchiano teatro della sua incoronazione a “imperatore” dopo il golpe di capodanno, è oggi una città fantasma che  vuole tornare a vivere. L'”hotel de la ville” non ha più né porte e né finestre, ma è affollato di gente che tenta di discutere. Negli ultimi mesi era diventato il dormitorio dei guerriglieri filo musulmani di ex-Seleka che hanno preso la città con la forza. Le Nazioni Unite con Minusca in questo crocevia di bande armate e di ricchezze ancora immense stannno tentando di realizzare un vero e proprio “laboratorio della stabilizzazione” che dovrebbe culminare con elezioni credibili e inclusive in tarda estate. La calma è reale ma temporanea perché pur accettando, sulla carta, di deporre le armi per favorire la riconciliazione nazionale, in realtà gli ex Seleka e gli altri gruppi paramilitari  “anti-Balaka”  “contro il macete” o le milizie cristiane, coinvolti in sanguinosi scontri etno-religiosi, hanno solo spostato le loro bande armate e gli squadroni della morte nei boschi delle periferie dove nessuno si avventura. Anche se l’autorità locale è stata “ufficialmente ripristinata”, il sindaco di Bria non può riunire il consiglio comunale e il  prefetto non può ordinare nessun arresto perché insieme agli infissi anche  poliziotti e impiegati sono scomparsi per non venir uccisi. Adesso sono i “caschi blu” dell’Onu  affiancati dalle truppe transalpine della Sangaris, da quelle dell’Eurofor a garantire militarmente condizioni minime di sicurezza. 

Il contingente della Minusca  non è composto solo da poliziotti e soldati ma soprattutto da genieri cambogiani che aggiustano ponti , battono sentieri con enormi ruspe bianche trasformandoli in strade e scavano fossati per canalizzare ogni forma di acqua corrente per scongiurare colera e malaria. L’autorità pubblica di Bria reinsediata poche settimane fa  da un rapido intervento delle forze francesi costato la vita di 9 guerriglieri e il ferimento di altri 40 spera  adesso di poter riaddestrare anche un piccolo corpo di polizia per ricominciare dopo le sparatorie di casa in casa. “Abbiamo scelto la pace - dice in buon francese uno dei leader guerriglieri dell’ex Seleka che ha nascosto il Kalashnikov per sostituirlo con un telefonino - ma non vogliamo essere manipolati….Chiediamo di contare nella transizione e ci siamo costituiti in tre diverse forze politico-militari….Accettiamo la tregua  e la riconciliazione ma vogliamo essere rispettati  ascoltati e integrati….”. Nella sala strapiena e buia dell”Hotel de la Ville”, Kalil il guerrigliero e il prefetto che non può più arrestarlo, sono uno di fronte all’altro come interlocutori. Il primo  con la maglietta azzurra dell’Addidas l’altro con l’uniforme blu che sembra appartenere ai tempi di Bocassa. Sono due facce della stessa Africa, dello stesso villaggio: due adulti che vogliono sopravvivere alle sanguinarie differenze tribali.

L’Onu è nel mezzo, con le sue risoluzioni e  con quasi 11000 uomini , che non bastano forse più per potersi imporre come facilitatori armati in un dialogo difficilissimo anche sui diritti umani. Nessuno immagina che a Bria  sotto una grande tenda , ci sono anche due giovani italiani che con la COOPI la cooperazione internazionale, partecipano attraverso i loro progetti alla rimessa in piedi del paese. Filippo Brisighelli 29 anni è di Udine, Fabio Castronovo stessa età viene dalla Sicilia. Sono coinvolti in un più vasto progetto della Fao in 13 scuole nelle quali attarverso speciali “campi scolari”  insegnano ai bambini come coltivare razionalmente ortaggi che possono liberamente vendere al mercato nella speranza di diventare gli imprenditori di domani senza il kalashnikov in mano. Quello che sta succedendo nella Central African Republic dove una bottiglia di cloro costa 27 dollari e un caffè in albergo 9, viene chiamata per la sua complessità la “Bangui Magnetic Anomaly” con un intero paese che attualmente naviga a vista sotto la “tutela” della Francia e delle Nazioni Unite ed è guidato da una presidente di transizione Catherine Samba-Panza ex sindaco della capitale che non potrà partecipare alle elezioni così come il presidente del National Transitional Council e il primo ministro. L’architetto dell’ordine pubblico almeno nella capitale è il generale portoghese Luis Carrilho, l’unico uomo in uniforme della Minusca che si muove senza pistola, ma che ha stabilito un vero rapporto di fiducia con le forze locali allo sbando. “Ci sono troppe armi in giro - dice - e gli agenti devono  essere addestrati a tutelare,  e non  abusare dell’uniforme ….Siamo riusciti a fare anche arresti importanti….a prevenire torture ed esecuzioni sommarie,  ma spesso non ci sono nemmeno le prigioni. Tutto va ricostruito….”