Martedì 23 Aprile 2024

Referendum, Napolitano è il presidente schierato per il 'sì'

Sono ormai tre, negli ultimi tre giorni, le ‘uscite’ pubbliche dell’ex Capo dello Stato a favore delle riforme volute da Renzi. LA BAGARRE / Napolitano: Lega xenofoba. E il Carroccio denuncia

Giorgio Napolitano e Matteo Renzi (Ansa)

Giorgio Napolitano e Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 24 maggio 2016 - “Io non tiro in ballo nessuno e rispondo di quello che faccio io”. Il presidente emerito della Repubblica, nonché senatore a vita in quanto ex Capo dello Stato eletto per ben due volte (2006 e 2013), un unicuum nella storia dell’Italia repubblica, Giorgio Napolitano, risponde in modo telegrafico, e con un certo malcelato fastidio, ai giornalisti che gli chiedono un commento sulle polemiche scatenatesi, nell’ambito della sinistra e, in particolare del Pd, dopo il richiamo a esponenti storici del Pci (Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao e Nilde Jotti) nel dibattito sulle riforme istituzionali, con il Pd di Renzi e della Boschi che ‘tira per la giacchetta’ i numi tutelari della sinistra comunista che fu proponendoli, post mortem, come ‘tifosi’ del monocameralismo (e, dunque, delle loro riforme) e i figli dei medesimi (Bianca Berlinguer, Celeste Ingrao, etc.) che scrivono lettere di fuoco ai giornali per dire “giù le mani dai nostri padri, non metteteli in mezzo”, con tanto di minaccia di querele.

Certo è che un esponente della sinistra ex-comunista, per quanto ‘migliorista’ (cioè, nelle classificazioni del Pci che fu, ‘di destra’), come Napolitano, nella contesa delle riforme e soprattutto in vista del referendum costituzionale di ottobre, ci entra eccome, e a piè pari, ovviamente a favore di un solo schieramento, quello del ‘Sì’. Sono ormai ben tre, negli ultimi tre giorni, le ‘uscite’ pubbliche dell’ex Capo dello Stato e tutte dalla potenza di fuoco mediatica molto alta. Potenza mediatica che, peraltro, sta oscurando di fatto - come già si è visto in sede di presentazione del suo libro, lo scorso venerdì, nella sala Koch del Senato, davanti a tutte le più alte autorità dello Stato - la figura e la statura, ben più discreta e silenziosa, dell’attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella (ieri, per dirne una, Mattarella era ad Asiago per celebrare i sessant’anni dall’inizio dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, ma il suo lungo discorso è stato scarsamente ‘coperto’) e che, probabilmente, creerà non pochi attriti tra i due presidenti, un po’ come i due Papi in Vaticano, quello attuale e ‘l’emerito’, ma con una differenza non da poco, e cioè che è il presidente-papa attuale quello che finisce sempre più nell’ombra mentre è quello ‘emerito’, di papa-presidente, che gli sta rubando tutta la scena…

La prima uscita Napolitano l’ha fatta domenica scorsa andando in un luogo insolito, per lui, la trasmissione Che tempo che fa? (Rai 3) condotta da Fabio Fazio. Con la scusa della presentazione della sua ultima fatica letteraria, il saggio Europa, politica e passioni, edito da Feltrinelli (anche questa una novità: Napolitano aveva sempre, e storicamente, pubblicato per la casa editrice Rizzoli), Napolitano ne ha infilate, già in prima serata, diverse di staffilate. “Se ci fosse una sconfitta al referendum sulla riforma costituzionale è chiaro che il presidente Renzi, senza poter dire che sia stata sua responsabilità, si troverebbe in una condizione difficile. Ma non vorrei che si parlasse ogni giorno di quello che farà Renzi. Noi ora dobbiamo parlare della riforma, di quello che è del perché è necessaria all’Italia”, ha tagliato corto Napolitano.

Un chiaro avvertimento, però, a chi - nel Pd e fuori - punta, votando e tifano per il ‘No’, a far cadere il governo Renzi subito dopo. Poi, l’ex Capo dello Stato ha rifiutato ogni ricostruzione di ‘golpe’ - come spesso lo descrive la pubblicistica di destra e di sinistra, oltre che lo stesso Berlusconi, ossessionato dal quel passaggio -  in merito al difficilissimo passaggio di consegne tra il governo di centrodestra di Berlusconi e il governo ‘tecnico’ guidato da Monti: “Decisi di affidare il governo a un uomo fuori del centrodestra e del centrosinistra, che aveva ricoperto alti incarichi in Europa. E non ci fu nessuno scontro. Quando si formò l'alleanza Berlusconi votò a favore, non ci fu nessun complotto. Sarebbe stato strano se Berlusconi avesse votato a favore di un complotto. Fu una cosa serena”, afferma (provate a dirglielo al Cavaliere…).

Poi, naturalmente, Napolitano si sofferma sulle ragioni (“Il diritto è il fondamento dell'Europa”) che ancora lo spingono a ‘tifare’ e credere nella speranza della costruzione di una sempre più salda casa comune europea, anche se ammette che, “Purtroppo ci sono governi che quel diritto lo stanno mettendo in discussione. Altri, entrati nell’Unione nel 2014, mostrano di non averlo capito, di non aver assimilato tra i valori fondamentali quello della solidarietà, e sono incapaci di assumersi sacrifici e responsabilità. Ora si rischia di andare indietro, un tradimento del progetto europeo”, ammette.

Di nuovo, l’altro giorno, lunedì scorso, Napolitano torna a ribadire la sua posizione sulla riforma costituzionale (in quel caso la polemica era sullo schierarsi, per il Sì o per il No, dei partigiani dell’Anpi): “Ci vuole libertà per tutti, ma nessuno però può dire ‘io difendo la Costituzione votando no e gli altri non lo fanno’. Dire questo offende anche me, anzi: mi reca un’offesa profonda”.

Infine, ecco l’ultima, in ordine temporale, delle tre uscite pubbliche di Napolitano, naturalmente in attesa della prossima: quella tenuta ieri, con una ‘lezione’ (lectio magistralis…) tenuta davanti agli accademici dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani, intervenendo alla “Scuola di politiche” fondata da Enrico Letta, il quale, invece, non manca di criticare “l’eccesso di tifoserie”... “La sindrome dell’iper-garantismo” che animò Dc e Pci durante l’Assemblea costituente all’indomani della rottura tra i due partiti legata all’inizio della Guerra Fredda, generò - dice Napolitano - le due debolezze fatali della seconda parte della Costituzione: la posizione di minorità dell’esecutivo nell’equilibrio dei poteri” e “il bicameralismo paritario su cui si cominciò a discutere il giorno stesso in cui terminarono i lavori dell’Assemblea costituente”. In pratica, in vista delle elezioni del 1948, spiega l’ex Capo dello Stato, “di fronte al timore di perdere quella sfida, presente tanto nella Dc quanto nella sinistra (comunisti e socialisti, ndr.), scattò la sindrome di quello che Dossetti chiamò l’iper-garantismo, sapendo che può vincere anche l’altro, bisogna garantirsi il più possibile che non abbia la possibilità di fare danni irreparabili”.

La preoccupazione fu dunque - secondo Napolitano - quella di “garantirsi che non si determinassero situazioni in cui il vincitore potesse con poche cautele, con poche garanzie, esercitare il potere che gli avrebbe garantito il risultato elettorale”. La ricostruzione ‘storiografica’ di Napolitano potrebbe essere contestata e discussa, ma si tratta solo del ‘cappello’ introduttivo che serve all’’emerito’ per sostenere che, insomma, le riforme attuali vanno fatte e subito perché la Costituzione del 48 è figlia della vecchia Guerra Fredda. Non a caso, subito dopo, Napolitano si sofferma sul ‘valore’ della stabilità politica, valore “lungamente bistrattato da molte forze. In Italia abbiamo impiegato molto tempo a riconoscere il valore primo della stabilità finanziaria e secondo della stabilità politica. Era qualcosa che invece aveva dominato la parte conclusiva dei lavori dell'Assemblea costituente: quando si scelse la forma di governo parlamentare si scelse sulla base di una motivazione, che fu quella che la forma di governo parlamentare sarebbe stata sviluppata in Italia in modo da evitare l’instabilità dei governi e le degenerazioni del parlamentarismo”.

Ecco, dunque, che per il vecchio comunista migliorista ‘tutto si tiene’, lo ieri con l’oggi. “Da qui – spiega - la scelta di Piero Calamandrei di schierarsi per "la soluzione presidenzialista, non avendo fiducia nella capacità che poi davvero si adottassero i dispositivi necessari a evitare instabilità e le degenerazioni parlamentariste”. Come dire, parafrasando Lenin (Estremismo, degenerazione senile del comunismo), parlamentarismo malattia senile della democrazia’… Ne consegue che “Oggi – conclude l’ex Capo dello Stato - abbiamo acquistato consapevolezza della necessità, per la posizione dell’Italia in Europa, di garantire stabilità finanziaria e stabilità politica come valore non secondario, come fondamento anche di un rinnovamento della forma parlamentare di governo, che è stato poi l'obiettivo per anni e anni di Leopoldo Elia”.

E così, in tre passaggi e con tre citazioni ad adiuvandum di ben due ‘padri’ della Costituzione e della Patria repubblicana (il cattolico Giuseppe Dossetti, il laico Piero Calamandrei, manca solo, et pour cause, un comunista: forse Napolitano qui pensava a Togliatti, certo né a Berlinguer o a Ingrao da cui fu sempre lontanissimo…), Napolitano ‘sistema’ una volta per tutte i ‘nemici’ – politici, ma anche costituzionalisti – della riforma della Costituzione stessa. E si schiera, decisamente, dalla parte di Renzi. Tanto che – come dice un esponente della minoranza dem con una battuta acida – “Renzi non ha avuto neppure bisogno di nominare Napolitano presidente del Comitato per il Sì (Napolitano si è opposto, in realtà ma i motivi del suo diniego erano dovuti a una formula, io sono super partes, che dopo queste uscite fa un po’ ridere…, ndr.), Napolitano il presidente del Sì lo fa già, ogni giorno, con le sue ‘uscite’ pubbliche (che non sono certo finite qui: giovedì l’Ucoii, la comunità ebraica di Roma, gli conferirà un premio, ndr.), il che dimostra che, oggi, il vero ‘mentore’ e alleato di Renzi è lui…”. Ragionamento che, in effetti, non fa una piega. Con una sola, vera, ‘vittima’: il ‘povero’ Mattarella, oscurato dal presidente ‘emerito’.