Martedì 23 Aprile 2024

Raffaele Sollecito e il ricordo di Meredith. "Quella morte mi perseguita"

Assolto, oggi è ingegnere informatico. "Ho sofferto con i suoi genitori"

Raffaele Sollecito (Ansa)

Raffaele Sollecito (Ansa)

MILANO, 21 MAGGIO 2016 - IL CULTO dei morti ai tempi dei social è firmato dall’ingegnere informatico Raffaele Sollecito. Quel Sollecito. Quello di Amanda Knox, e povera lei, di Meredith Kercher. Dell’americanina bella e svaporata, della perfect English, Meredith, la vittima. Quello tornato a vita e lavoro, dopo l’assoluzione definitiva della Cassazione, il 27 marzo 2015.

«Sono Raffaele Sollecito, purtroppo mi conoscete per un fatto di cronaca che ha tenuto i palinsesti televisivi per anni, ma io sono soprattutto un ingegnere informatico che da anni elabora la possibilità di curare il culto dei morti a distanza». Lo fa con una start up a metà tra social ed e-commerce.

Questa idea della morte ha a che fare con Meredith?

«No, la morte di Meredith non è legata alla mia vita, ma a un errore giudiziario. L’idea ruota su mia madre e sulla mia passione per i computer. E quando a 22 anni, nel 2005, mia madre è mancata, non immaginavo che non avrei potuto andare a trovarla per tanto tempo. In carcere, nel 2009, comincio a pensare a come stabilire un contatto con lei, anche stando seduto su una sedia. E questo poteva valere anche per altri, che vivono lontani dai loro morti».

Meredith non c’entra, ma Meredith è morta, e la sua morte è stata allacciata a voi a lungo.

«Io, Meredith la conoscevo appena, come coinquilina di Amanda. Una brava ragazza, educazione tipicamente inglese, circospetta e riservata, amiche solo inglesi. In tutti questi anni ho provato una fortissima empatia nei confronti della sua famiglia perché una loro cara non c’era più, soprassedendo a pensieri negativi, perché male indirizzati dagli inquirenti».

Guardandosi indietro, un errore da non fare?

«Ero un ragazzo, niente da rinnegare. Quando un mese fa ho riavuto il mio computer sequestrato, ho pianto. Vi ho ritrovato la mia vita di allora. Non c’era nulla di male. Ma è stata seppellita, violentata, spezzata. Ora ricomincio con entusiasmo e voglia di fare, eppure l’ombra di tutto ciò mi accompagnerà sempre».

Ma il sospetto, ora che è un uomo, che l’uso di droghe appiattisse e limitasse la coscienza?

«Considero le droghe un infantile tentativo di non affrontare la realtà. Quella sera, quando Meredith fu uccisa, avevo fumato un solo spinello». 

Chi era Amanda? 

Una ragazza di vent’anni, sognatrice, positiva, Alice nel Paese delle meraviglie. Le piaceva giocare con la realtà».

L’ha amata? 

«La amavo? Stavo con lei da cinque giorni. Era bellissima. E io ero entusiasta, infatuato, più di quello che sarebbe potuto essere che non di quello che c’era». 

L’addolora più che Meredith sia morta o che lei abbia fatto quattro anni di carcere?

«Domanda provocatoria. Mi spiace moltissimo che Meredith non ci sia più. E che io sia stato in carcere da innocente».