Quel filo di Arianna

IN QUANTI labirinti ci siamo smarriti nella nostra esistenza? In quante passioni dalle quali ci pareva impossibile evadere? In quanti amori ci siamo perduti? In quante utopie, anarchici e rivoluzionari da ragazzi, per poi approdare a orizzonti di domestiche felicità? O dominati da donne che «non erano nemmeno il nostro tipo», come scopre Swann guarendo dalla passione per Odette, nel finale di “Un amore di Swann”?   “LA CASA di Asterione” è il racconto di Borges che, forse unico fra gli scrittori moderni, osa dare un nome al mostro, metà uomo metà toro, del labirinto, il tempio costruito da Dedalo per rinchiudere il figlio di Pasife, moglie di Minosse. Smentendo le “Metamorfosi” di Ovidio, il minotauro di Borges ci parla di una casa infinita «senza una sola serratura, senza porte, sempre aperta». Scopriamo che non è affatto prigioniero perché «La casa è grande come il mondo». Ci consegna così l’immagine più inquietante delle molte in cui il labirinto ha affascinato il nostro inconscio: il mondo come prigione, l’infinito come gabbia, in cui ci cattura un’ansia di smarrirci non meno torturante della claustrofobia. E ci coglie allora il rimpianto del passato. Della casa dove giocavamo da bambini. Dell’infanzia e dei suoi paradisi perduti. Come Rimbaud ne “Le bateau ivre” dove, dopo il naufragio del battello dell’Io, nel volontario fluttuare fra gli Oceani, il grande poeta ribelle si lascia cogliere dall’ acuta nostalgia dell’unico paese davvero perduto, il Passato: «Se desidero un’acqua d’Europa, è la pozzanghera / nera e gelida, quando nell’ora del crepuscolo,/ un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,/ un battello leggero come farfalla a maggio».   MA IL LABIRINTO ha lavorato a lungo nella cultura Occidentale, sposandosi alla selva di Dante, là dove si perde «la diritta via», come nella selva di Saron del Tasso, stregata dal mago Ismeno, fino al “Laborintus” di Sanguineti, «una faustiana discesa all’inferno che ha tutto l’aspetto di un supremo divertimento». Dal labirinto classico il mito narra due sole evasioni. Una fallita, il volo di Icaro, avvicinatosi troppo al sole, nella sua autoesaltazione dell’Io. L’altra compiuta, grazie al filo di Arianna, che salva il suo Teseo. L’Amore è la sola uscita dal labirinto.