Giovedì 25 Aprile 2024

Quei giochi di potere

LO SCANDALO che rischia di far implodere la Fifa, sullo sfondo di rinnovati venti di guerra fredda tra Mosca e Washington, ci ricorda come il calcio sia anzitutto un gigantesco gioco di potere.  Dalla nascita della Fifa, nel lontano 1904, ad oggi si sono avvicendati 8 presidenti a fronte dei 10 papi che si sono succeduti al soglio pontificio. La stabilità della massima istituzione calcistica internazionale è il riflesso del fatto che si è tradizionalmente fatta promotrice del mantenimento degli equilibri geopolitici dominanti. Anche quando ciò ha significato scendere a patti con regimi autoritari, alimentando quell’utilizzo di grandi eventi sportivi a fini propagandistici assai caro alle dittature (dai mondiali del 1934 nell’Italia fascista a quelli del 1978 nell’Argentina del regime militare). Un condizionamento dettato dalle dinamiche internazionali che ha investito a più riprese anche i Giochi olimpici sin dal 1920, quando un comitato olimpico dominato dai francesi decise di punire l’Ungheria, sconfitta nella prima guerra mondiale, spostando le Olimpiadi da Budapest a Anversa (e impedendo la partecipazione a tutti i paesi sconfitti).

PER ARRIVARE all’era dei boicottaggi nella fase finale della Guerra fredda: da quello delle 22 nazioni africane a Montreal 1976 contro la mancata sospensione della Nuova Zelanda (la cui nazionale di rugby aveva partecipato a un torneo nel Sudafrica dell’apartheid), a quello americano ai giochi di Mosca 1980 come protesta contro l’invasione sovietica in Afghanistan e a quello successivo dell’Urss e di quattordici paesi alleati a Los Angeles 1984. Come ha mostrato Nicola Sbetti nel suo ‘Giochi di potere. Olimpiadi e politica da Atene a Londra’ (Le Monnier, 2012).  Queste relazioni pericolose tra sport e potere, particolarmente evidenti nel mondo del calcio, si sono snodate lungo tutto il Novecento, tra misteri, controversie, scandali e fiumi di denaro che, a partire dagli anni Duemila si sono moltiplicati con la prepotente irruzione dei petrodollari e delle milionarie sponsorizzazioni delle multinazionali (a partire dalla Gazprom) a Uefa e Fifa.   EVIDENTEMENTE, nonostante la corruzione dilagante e i personaggi impresentabili o grotteschi che lo popolano (nota di merita per l’indimenticato arbitro Moreno, arrestato con sei chili di eroina nelle mutande all’aeroporto JFK otto anni dopo le prodezze coreane), non tutto è da buttare o già scritto in partenza. Olimpiadi e Mondiali sono stati teatro di imprese memorabili e di epiche vendette sportive. Dai quattro ori di Jesse Owens a Berlino nel 1936 che si presero beffe delle teorie razziali di fronte a un Hitler indispettito all’eliminazione dell’Urss staliniana per mano della Jugoslavia titina ai Giochi di Helsinki del 1952, passando per la storica doppietta di Maradona contro l’Inghilterra nel 1986 a vendicare le Malvinas perdute e la vittoria dell’Iran sugli Stati Uniti a Francia ‘98. Come il ping pong all’alba degli anni Settanta ha favorito la distensione tra Pechino e Washington, anche il calcio ha spesso anticipato la geopolitica riconoscendo squadre nazionali ancora prive di una statualità (quella del Fronte di liberazione algerino tra il 1958 e il 1961, quella palestinese dal 1998, etc.) e facendo coabitare nella stessa organizzazione Israele e Palestina, Cina e Taiwan, impresa a lungo fallita alle massime istituzioni internazionali. 

Se il mondo è progressivamente divenuto multipolare, il calcio lo è da tempo. E per comprendere il nesso tra pallone e geopolitica, basta considerare che nel decennio 2008-2018 i cosiddetti Brics si sono aggiudicati tutte e tre le edizioni dei mondiali (Sudafrica 2010, Brasile 2014, Russia 2018) oltre alle Olimpiadi di Pechino 2008 e Rio 2016. Tuttavia se il calcio è l’emblema della globalizzazione, non ha cancellato le identità nazionali, ma al contrario le ha rafforzate.   IN PAESI che perdono progressivamente i simboli tradizionali della propria sovranità, dalle compagnie di bandiera alla moneta, le squadre nazionali hanno acquisito un ruolo di identificazione e un’importanza simbolica crescenti. Alimentando passioni che consentono ancora al pallone di mantenere la propria magia, nonostante il cinismo degli interessi che lo governano.