Quegli ultimi giapponesi

E SE INVECE di una minaccia fosse una promessa? «Il Parlamento faccia le riforme, o si va alle urne». Parole scolpite nella pietra, quelle di Matteo Renzi. E anche nel buon senso. Perché è vero che non sarà un Senato in più o in meno a cambiare le sorti del nostro Paese. Ma è anche certo che o diamo un segno di vita riformistico a noi stessi, all’Europa e al mondo, oppure siamo condannati ad affondare nelle sabbie mobili. Legittima difesa di un premier sotto attacco, certo, ma anche interesse oggettivo del Paese. Per questo la «minaccia» a deputati e senatori, è certamente una promessa per gli italiani e gli osservatori stranieri: noi non ci fermiamo. Intendiamoci. La legge in discussione a Palazzo Madama può essere emendata, aggiustata, migliorata. Ovvio. Ma quando in Aula piovono migliaia di emendamenti, oltre 900 richieste di voto segreto, continue verifiche del numero legale e cavilli procedurali di ogni tipo, beh, usciamo dal campo del dibattito ed entriamo in quello della «guerriglia» istituzionale. Nei sistemi anglosassoni si chiama «filibustering». Noi lo traduciamo elegantemente in ostruzionismo, ma il concetto di «filibustieri» sembra illustrare meglio la situazione. Nella quale il dissenso di merito appare spesso strumentale rispetto ai meno nobili calcoli politici. Vi sembra possibile, ad esempio, che sia tanto rilevante il metodo di elezione dei nuovi senatori (diretto o indiretto) da provocare spaccature verticali nei maggiori partiti, Pd e Forza Italia? Vi sembra che possano ritenere vitale la volontà dei cittadini, dei parlamentari scelti solo dalla volontà delle segreterie? 

INSOMMA il rischio paralisi della battaglia in atto è frutto di un sistema grippato, e in particolare del solito parlamento in cui nessuna maggioranza riesce a far passare un progetto in modo indolore. Non riuscì a Berlusconi che prima delle dissoluzione del centrodestra aveva numeri bulgari alla Camera. E non riesce nemmeno a Renzi che si trova con gruppi costruiti dalla vecchia nomenklatura, popolata di soldati giapponesi che continuano la guerra (a lui), senza accorgersi che il conflitto è finito e che loro hanno perso. Per questo l’idea estrema di andare alle urne può essere un’esigenza alla ricerca della compattezza, e non solo una minaccia, necessaria e speriamo sufficiente a piegare soprattutto i riottosi Pd. Che hanno a cuore le sorti della democrazia. Certo. Ma anche quelle dei loro seggi. A cui dovrebbero dire arrivederci. Anzi, addio.