Martedì 23 Aprile 2024

Terrorismo, Putin contro Erdogan. La sfida tra imperi

Lo Zar ha un talento da scacchista: ecco perché il Sultano può perdere

Cittadini turchi protestano a Istanbul contro Putin (Ansa)

Cittadini turchi protestano a Istanbul contro Putin (Ansa)

Roma, 28 novembre 2015 - LO ZAR e il Sultano, un bel titolo per un romanzo di cappa e spada, quelli che andavano di moda in passato. Vladimir Putin contro Recep Tayyip Erdogan, la Russia quella dei Romanov che dalla reggia di San Pietroburgo sognavano di estendere il potere fino ai mari caldi, il nostro Mediterraneo e l’Oceano Indiano, e l’impero Ottomano che giunse fino alle porte di Vienna. La partita a due, non si gioca contando i missili e i panzer, gli uomini e la navi da guerra, ma studiando i due campioni. Una psicologia non facile da capire, nonostante che tutto sembri noto, per l’uno e per l’altro.

VLADIMIR è un peso medio, asciutto e nervoso, Recep lo sovrasta in altezza e in peso, e appare più florido, appesantito dagli anni. Il freddo mantiene la forma meglio del caldo umido del Bosforo, ma sono quasi coetanei, 63 anni il russo, 61 il turco. Sono due ragazzi di strada, che si sono difesi bambini e adolescenti con pugni e calci con avversari più grandi e prepotenti. Nato dopo due fratelli morti ragazzini, Putin è figlio di un operaio in una fabbrica di vagoni ferroviari, e ha vissuto a Leningrado gli anni della giovinezza in un appartamento di venti metri quadrati, insieme coi fratelli, col gabinetto in comune coi vicini. La madre lo fece battezzare senza dire nulla al marito, e il ragazzino imparò subito a dover vivere tacendo. Il padre lo educò virilmente, come diceva lui, la madre lo viziò. Recep vede la luce a Riza, porto sul Mar Nero, e il padre è imbarcato su una guardacoste. Quando ha 13 anni la famiglia si trasferisce a Istanbul, e il ragazzo vende limonata per strada. Ma la sua infanzia e adolescenza sono meno dure di quelle del rivale. Frequenta la scuola islamica, entra all’università, gioca a calcio a livello professionistico. Alto e robusto, da centromediano vecchio stile, forte nei colpi di testa, impara a studiare il gioco degli avversari e a intuire le loro mosse. Vladimir continua a far pugni coi coetanei nel cortile della casa di periferia a Leningrado. Entra nei pionieri e impara il judo, che gli permette di affrontare, lui piccolino, chi lo sovrasta fisicamente. Il padre severo però stravede per lui. Gli regala un orologio da polso, un lusso inestimabile, e poi – quasi un miracolo – un’auto, sia pure vecchiotta. Recep fa carriera politica, a volte esagera, finisce quattro mesi in galera, ma serve a renderlo popolare. Vladimir entra nel Kgb, che apre la porta al potere. Finisce a Dresda, parla perfettamente tedesco, sposa una tedesca. Con la lingua impara anche un modo di pensare, logico, pragmatico. Erdogan è più focoso, pronto a liquidare tutto con la forza. Vladimir è un giocatore di scacchi, diverso da quel che sembra, e vuole apparire.

LA SUA carriera potrebbe finire prima di cominciare, proprio a Dresda, la Firenze dell’Elba. Lui, capitano dei servizi segreti, non ha previsto la rivolta del ’89, ha dovuto assistere all’invasione tedesca del suo ufficio, mentre i collaboratori fuggivano. E invece, tornato in patria, ha presentato la sconfitta come esperienza. È esperto dell’Ovest e la Russia che ha visto svanire l’impero ha bisogno di lui. Contro Obama non ha sbagliato una mossa: il presidente Usa al suo confronto appare un bimbo che gioca a dama. Il vantaggio di Vladimir è non abusare quando è in vantaggio. Erdogan, al contrario, continua ad attaccare quando vede l’avversario al tappeto e non capisce che stravincere può condurre al disastro. Lo Zar proletario contro il Sultano che viene dalla strada? Vladimir lo sciupafemmine e Recep il padre di famiglia rispettoso della morale, sua e altrui. Avrebbero fatto meglio ad allearsi invece di sfidarsi, ma ora è tardi. Vladimir lo scacchista ha il talento di vincere dando all’avversario l’impressione di avere evitato la sconfitta.