Martedì 23 Aprile 2024

Renzi, duello con tecnici e industriali. Calenda sotto tiro: non si occupi di Pd

Confindustria: giù le tasse sul lavoro in cambio dell’aumento Iva

Carlo Calenda (Ansa)

Carlo Calenda (Ansa)

Roma, 19 aprile 2017 - POLITICI contro tecnici. Dove la parola ‘tecnico’ è sinonimo di tasse, austerità, euroburocrazia. In questa dicotomia, tornata in auge nella narrazione del Pd renziano, finiscono incastrati Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda: il ministro dell’Economia reo di essere troppo succube delle richieste di Bruxelles tanto da avallare il rialzo dell’Iva, il collega dello Sviluppo nel mirino più per una distanza politica e personale (innescata da un’intervista nella quale bollava come un errore eventuali elezioni anticipate). Da allora i rapporti sono diventati glaciali.   LA FUGA in avanti di Padoan sull’Iva non è piaciuta all’ex premier che, dopo aver mandato i suoi a fare barricate, ha stoppato il ministro: «L’ultima volta che in Italia è aumentata l’Iva risale al primo ottobre 2013, un altro governo», quello guidato da Letta. «Noi le tasse non le aumentiamo», ribadisce nella Enews e sottolineando che «il governo Gentiloni ha scelto la stessa strategia». Dunque, il Documento di economia e finanza (Def) «smaschera le bugie»: «Non c’è nessun aumento dell’Iva, né della benzina, né dello zucchero» perché «il Pd non è più il partito delle tasse, abbiamo rottamato Dracula».

Questa sera, i senatori dem lo ricorderanno al ministro dell’Economia, che parteciperà all’assemblea dei gruppi. Una sorta di remake di quanto già andato in scena a Montecitorio prima della stesura del Def: «Caro Padoan, siamo soddisfatti del Def ma sia chiaro che non c’è alcuno spazio per aumentare le tasse nella manovra di ottobre», sarà il succo. Aldilà delle dichiarazioni ufficiali sui buoni rapporti tra Renzi e Padoan, dietro le quinte non si nasconde il disappunto per un’uscita «palesemente in contrasto con la linea del Pd e, soprattutto, con quanto scritto nel Def». Si schiera con il ministro Confindustria che, in audizione, appoggia l’idea di scambio tra rialzo Iva e taglio del costo del lavoro. 

Ecco allora che i renziani riaprono il fuoco di sbarramento, in attesa del 30 aprile quando Renzi, dismessi gli abiti del «privato cittadino» potrà imbracciare lui la doppietta. Un fuoco contro il governo «che deve fare di più» ma senza colpire direttamente Gentiloni, fedele al partito pur nell’equilibrismo della mediazione. Insomma, «si cambia musica». Alla politica deve tornare il primato delle decisioni, e non ai tecnici. In particolare quelli del Mef che – raccontano nell’entourage di Renzi – hanno riacquistato più potere. E c’è chi accarezza ipotesi di voto anticipato a settembre. Chissà, proprio le tasse potrebbero essere il casus belli.

Di segno opposto la visione dell’altro tecnico di governo, il ministro Calenda, che ieri ha scoperchiato il vaso di Pandora dei veleni e delle coltellate. «Non sono un pericoloso nemico, visto che condivido il novanta per cento di quello che ha fatto il governo Renzi – ha sottolineato, uscendo allo scoperto dopo mesi di silenzio, in un’intervista al Foglio – gli attacchi fondati sulla delegittimazione personale mi sono dispiaciuti». Quanto alle illazioni sulle sue mire politiche, assicura: «Non ho nessuna agenda politica e nessuna ambizione in proprio». Il finale è tranchant: «Esprimere delle opinioni, e non essere sempre d’accordo su tutto, non è un indizio di tradimento». Parole che, certo, non aiuteranno il disgelo dei rapporti ma che segnalano un dato politico: una nuova fase si sta aprendo. Con Renzi alla testa della battaglia contro i tecnici, le tasse, i vincoli europei. E, infatti, arriva subito lo schiaffo: «Non si lamenta il partito di maggioranza e non si lamenta Gentiloni – taglia corto il fedelissimo Michele Anzaldi –. Non so a quali attacchi Calenda si riferisca». E avverte il ministro: «Si occupi di Alitalia e non del Pd».