Renzi fa l’accordo con 5 Stelle e Lega. Italicum anche al Senato, poi il voto

Asse con i populisti per le urne subito. Dibattito in Aula il 27 febbraio

Matteo Renzi (Lapresse)

Matteo Renzi (Lapresse)

Roma, 1 febbraio 2017 - Colloqui – Riservati, riservatissimi, tenuti segreti per settimane – con il leader della Lega Salvini. Chiacchierate in Transatlantico tra gli emissari più fidati dell’ex premier e i loro omologhi grillini (Toninelli, Di Maio, Di Battista).  Matteo Renzi, mentre tutti guardavano il dito (il congresso, D’Alema, il freno di forzisti e centristi), puntava alla Luna. E, con una mossa assai spregiudicata che farà discutere a lungo, ha fatto quella che un grande vecchio della sinistra, Vittorio Foa, definì «la mossa del cavallo»: muovere in avanti, sulla scacchiera, per ‘mangiare’ a destra. Accordarsi con i suoi nemici di sempre, i più accaniti (Grillo, Salvini, Meloni) per ottenere le urne al massimo entro il mese di giugno. Ieri – complice un articolo del quirinalista del Corsera che intimava il prevedibile alt del Quirinale alla sua fretta di correre alle urne senza armonizzare le due, diverse, leggi elettorali di Camera e Senato – ha deciso che il dado era tratto. Si è chiuso coi suoi più stretti colonnelli, per tutto il giorno, al Nazareno e ha dato la ‘luce verde’ finale.    STA per nascere, infatti, il ‘Legalicum’, come lo chiamano gli stellati. Ovvero, come dicono i renziani, l’estensione al Senato delle norme della Camera: un Italicum senza ballottaggio, fatto di liste e un’unica soglia di sbarramento per tutti.  Il dibattito per scrivere una nuova legge elettorale inizierà, nell’Aula della Camera, il 27 febbraio. La data è ancora sub judice: manca ancora l’esame della commissione Affari costituzionali. E’ stato stabilito anche il contingentamento dei tempi di discussione in Aula. Un elemento decisivo che poteva essere approvato solo nella giornata di ieri e, cioè, prima di stabilire il calendario d’Aula di febbraio.  La svolta è arrivata a tarda sera con voto a maggioranza (Pd-M5S-Lega a favore; FI, Sel-SI e Misto contrari) alla fine della conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Durante la riunione dire che sono volati gli stracci è dire poco, ma è solo un antipasto di quello che succederà, a breve, in Aula. Lo testimoniano le parole dei capogruppi contrari e pure del tutto ignari del complotto ordito alle loro spalle. Per Arturo Scotto (Sel) «è nato l’asse dell’avventura», Brunetta (FI) parla di «comportamento inaccettabile del Pd», solo Lupi (Ncd) si limita a parlare di «forzature». La verità è che sta per nascere una legge che colpirà al cuore soprattutto FI, che sarà costretta presentare liste uniche con Lega e Fd’I. Il capogruppo dem, Ettore Rosato, parla con il pesce in bocca: «Ho rassicurato i miei colleghi che tentavano di diluire i tempi. Per noi non è che il giorno che si approva la legge, poi bisogna andare a votare. Ma da quel giorno sarà possibile. Servono solo piccoli aggiustamenti». Luigi Di Maio (M5S) esce dallo studio della Boldrini e dice trionfante: «Entro la metà di marzo la Camera può approvare la legge elettorale e, a quel punto, il Senato in pochi giorni non dovrà far altro che ratificarla».   QUESTO è un po’ meno vero: tra i ‘piccoli’ aggiustamenti, oltre quelli ovvi (doppia preferenza di genere, via il sistema del sorteggio, dimensione diversa dei collegi senatoriali) non si sa se sono previsti due punti cruciali per la sopravvivenza di molti: la possibilità di creare liste e/o coalizioni e le soglie di sbarramento. Il sistema oggi in vigore per il Senato prevede la possibilità di dare vita a coalizioni, ma l’asse Pd-Lega-M5s punta a consentire solo la presentazione di listoni come accade alla Camera. Le soglie di sbarramento al Senato sono assai diverse (20%, 8%, 4%) e ben più alte dell’unica della Camera (3%): potrebbe essercene una sola, la più bassa.  E Renzi? «Basta alibi» ripete come un mantra, soddisfatto, quasi euforico, «ora dobbiamo occuparci di Trump e della Ue, non di collegi». Infatti, come dice in un sms inviato alla trasmissione di Floris, «per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso, ma sarebbe grave, ingiusto e assurdo far scattare i vitalizi a settembre. Sarà fondamentale, invece, farsi sentire con molta forza dall’Europa, specie sui vincoli di bilancio e austerity», aggiunge, con toni che ricordano quelli grillini o dei ‘sovranisti’. Populismi di destra, grilleschi e di sinistra: si giocherà intorno a questi tre poli la prossima campagna elettorale. Tutti gli altri verranno tagliati fuori, anche grazie al Neo-Legalicum. 

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