Primarie Pd, Gentiloni tira la volata a Renzi. Legge elettorale, ponte Pd-M5S

L'ex premier chiude tra Roma e Bruxelles sulla scia di Macron

Paolo Gentiloni e Matteo Renzi (Ansa)

Paolo Gentiloni e Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 29 aprile 2017 - "Andate tutti a votare" (alle primarie di domenica, ovvio), dice il premier, Paolo Gentiloni. Solo che lo dice al fianco di un Matteo Renzi plaudente e sorridente che compare – ‘a sorpresa’ – a un appuntamento che, in teoria, doveva vedere sul palco Roberto Giachetti, vice presidente della Camera, che aveva invitato i renziani romani a festeggiare, al Palace Hotel, la chiusura della loro campagna elettorale. Ospite d’onore, guest star, Paolo Gentiloni. E, invece, ecco che Renzi – reduce da un volo andata e ritorno Roma-Bruxelles, dove ha manifestato di mattina al grido di "Europa sì, ma non così" – non resiste e si materializza. E così eccolo ascoltare un Gentiloni in gran forma che si prende quasi tutta la scena: sorride sornione dal palco e si dice persino "emozionato" .

Il premier ribadisce che le primarie "non sono una moda effimera"; che serve un cambiamento "radicale" nelle politiche di Bruxelles (Renzi aveva appena rilanciato la sua proposta di elezione diretta del presidente di commissione); che le elezioni "si vincono al centro" mentre con i radicali "si perdono", come dimostra Macron; che il ruolo del Pd è cruciale ma non deve perdere la "vocazione maggioritaria". Parole che scorrono come miele, alle orecchie di Renzi. Spazzati via dissidi e dissapori tra Matteo e Paolo? Forse, ma non la mai sopita voglia renziana di urne anticipate. Tanto che è lo stesso Renzi a dire ai suoi che "per fare tante cose importanti, dalla manovra economica ad Alitalia, servirebbe un governo legittimato dal voto popolare".

Gentiloni "è pronto a mettersi da parte", dicono i suoi, "ma senza inutili forzature e solo quando sarà il momento". L’oggetto del contendere, in ogni caso, non è la vittoria (certa), ma l’affluenza ai gazebo. Renzi si è tenuto, per una volta, basso (la sua stima prudenziale, detta a denti stretti, è un milione), i suoi non osano più di un milione e mezzo, solo Guerini, ottimista di suo, parla di "quasi due milioni". Il ragionamento, peraltro, si basa su una proiezione pratica: "Tra gli iscritti hanno votato in 240mila, basta che ognuno porti a votare 7/8 persone e si fa bingo", dicono i renziani. Insomma, "tutto va bene, madama la marchesa", per Renzi e per i suoi: oggi ci doveva essere la chiusura finale sottobraccio con il parente/serpente Dario Franceschini, a Caserta, ma è stata rinviata per l’ennesimo ‘Matteo risponde’. Comunque pare che anche Dario abbia smesso di mettere i bastoni tra le ruote, legge elettorale compresa.

Ecco, la legge elettorale, chiave di volta per le elezioni (anticipate, a ottobre-novembre, o a scadenza naturale) e croce e delizia di Renzi. Gentiloni dice "bene Mattarella", Renzi uguale e aggiunge che bisogna farla "presto e bene", nessuno però dice ‘come’ e, soprattutto, con ‘chi’ farla. Ieri, tra i renziani correva l’ennesimo rumor: "l’accordo è fatto" con i 5 Stelle sulla base della loro proposta (by Di Maio), premio di maggioranza alla lista non esiguo (servirebbe il 35%), sbarramento al 5% epperò via i capilista bloccati. Renzi si tiene guardingo: "Se i 5 Stelle vogliono davvero fare l’accordo noi siamo pronti a confrontarci, ma non siamo disposti a farci prendere in giro e ora c’è la palude".

Ma per fare l’accordo con i 5 Stelle servirebbe una legge ex novo: vuol dire perdere molti mesi e allontanare le urne. Ecco perché, al Nazareno, c’è chi scommette che "al massimo ci sarà un accordo blindato con i centristi per estendere l’Italicum al Senato o non si farà un bel nulla". E, per scrivere un decreto legge che armonizzi le leggi attuali, come vuole Mattarella, è sempre pronto l’amico Gentiloni.