Prodi garante del patto Pisapia-Pd. Il prof sente Renzi e sigla l'intesa

Colloquio "lungo e cordiale" tra il padre dell’Ulivo e l’ex premier

Renzi e Prodi in un'immagine del 2015 (Ansa)

Renzi e Prodi in un'immagine del 2015 (Ansa)

Roma, 19 novembre 2017 - Il centro della sostanziale unità ritrovata tra il Pd di Matteo Renzi (con ‘l’esploratore’ Piero Fassino) e il resto del centrosinistra (col ‘leader riluttante’ Giuliano Pisapia) si chiama Romano Prodi. Ieri Prodi si è sentito direttamente anche con Renzi in un «lungo e cordiale colloquio», recita la nota del suo ufficio stampa. Il leader dem preferiva “tenerla bassa”. Poi, in serata, nella Enews, esulta: «La coalizione di centrosinistra cui stiamo lavorando dovrà garantire eguale dignità a tutti i componenti. Penso che avremo una coalizione di qualità e competitiva». La nota di Prodi, invece, specifica che «non vi sarà alcuna lista intestata a lui o all’Ulivo» e che il Prof vuole «tenere unito e allargare un campo largo di centrosinistra». Ma è stato Prodi a telefonare a Pisapia («Giuliano, fidati») e a incitare Fassino («Piero, insisti»). E sarà lui il garante della coalizione: un centrosinistra formato bonsai, ma «unito», come voleva lui, e in grado di richiamare l’Ulivo. Ieri mattina l’incontro decisivo. 

Il planipotenziario di Renzi, Fassino, va a Milano a incontrare Pisapia, accompagnato o, meglio, «guardato a vista» dai compagni di cordata Bruno Tabacci («è il solo, tra noi, che capisce di collegi») mentre a dar man forte a Fassina c’è il vicesegretario Pd, Martina.  Tutto bene dunque? Abbastanza. Pisapia – che rivelerà, poi, regolarmente autorizzato dal Prof, la telefonata di Prodi («avanti così, Giuliano!») – pone due condizioni. Una, appunto, è politica. «Prodi deve essere il garante della coalizione», chiede Pisapia: «Vuol dire che deve stare «un passo davanti noi tutti, Renzi compreso». Martina e Fassino si guardano negli occhi e deglutiscono: far accettare a Renzi una condizione non di Imperatore, ma di generale dell’Armata, non sarà facile, ma tant’è: la cosa non è trattabile. 

La seconda condizione, sgomberato dal campo l’equivoco primarie di coalizione pure avanzato («non c’è tempo: si vota il 4 marzo e le liste vanno consegnate il 3 febbraio», riconoscono i suoi), è invece trattabile. Lo Ius soli e il biotestamento scompaiono dal tavolo. Restano, però, per Pisapia, alcuni interventi dentro la manovra. Si tratta di abolire il superticket, sgravi per chi assume contratti a tempo indeterminato e far pagare di più il tempo determinato. Il Pd l’impegno lo prende, ma «prima di dare moneta, vogliamo vedere cammello», dicono gli uomini del leader Cp, che parlano di «pre-accordo tra gentiluomini».  

Insomma, è fatta. Resta solo da capire se la presidente della Camera Boldrini se ne andrà con Mdp e Sinistra italiana con un manipolo di ‘pisapiani’. Certo sarà il Pd a dover garantire collegi sicuri a Pisapia (Tabacci ne vuole dieci per i suoi) come al resto della coalizione. Che sarà «un attacco a tre punte». Quello cui hanno lavorato, con successo, Fassino sul fronte sinistro e Guerini sul lato centrista. Al centro, una lista di moderati formata dalla triade Lorenzin-Casini-Dellai con la Lorenzin frontwoman («è giovane, bella e non sciupata dagli scandali», pare) mentre Alfano, pur presente in lista, resterà ben più «defilato». Una lista di sinistra, di ispirazione «ulivista» che vedrà nella coppia Pisapia-Bonino i frontrunner e, dentro, i vari «nanetti» (Psi, Verdi). E, ovviamente, la lista del Pd. Quella che dovrà fare goal. Sperando non finisca come Italia-Svezia.