Peccato di superbia

QUESTA è la seconda volta – la prima fu la vittoria dei No nel 2006 – che un’ampia revisione costituzionale viene bocciata dal popolo. C’è in queste scelte qualcosa che trascende il contesto politico? L’attaccamento, quasi un legame identitario, alla carta fondamentale, i tedeschi l’hanno battezzato “patriottismo costituzionale” – forma moderna di quel che resta dell’antico amor di patria. Collante o sublimazione questo sentire comune è proprio di popoli che hanno un legame doloroso con il loro passato recente. Al di là di questo, la vittoria netta e inequivocabile dei No è conseguenza diretta dei madornali errori politici compiuti da Matteo Renzi. Commentatori e amici hanno criticato o preso tardive distanze dalla personalizzazione che Renzi ha impresso al referendum trasformato in plebiscito su se stesso ovvero nella richiesta al popolo italiano di votargli la fiducia. La superbia e l’arroganza con cui ha ammannito il suo disegno non erano una caduta di stile, erano figlie del 41% conquistato alle europee e del calcolo di produrre un cambiamento storico con uno strappo. 

SENONCHÉ col 41 per cento dei voti, talvolta anche con meno, si può vincere un’elezione, invece per vincere un referendum occorre almeno il cinquanta più uno. Ma Renzi, l’osservazione l’ha fatta ieri il direttore Cangini, ha voluto giocare d’azzardo imponendo una riforma della Costituzione sulla base di una maggioranza che esisteva in Parlamento ma non nel paese. Una maggioranza dopata frutto di una legge elettorale incostituzionale. Se questo è stato il primo, il secondo errore è stato quello di aver spezzato anche questa maggioranza parlamentare, prima esigendo la cacciata anticipata dal Senato dell’alleato Berlusconi (“Game over”), poi rompendo definitivamente il patto del Nazareno con la scelta unilaterale del nuovo inquilino del Quirinale. Come non bastasse ruppe anche con la minoranza interna.    A QUEL PUNTO, l’ho scritto sul QN un anno fa, era chiaro che Renzi mentre sognava di unire i seguaci nel partito della nazione già aveva coalizzato contro di sé tutti gli avversari. Infine, nell’intento di rendere più semplice e accattivante la riforma, Renzi ha forzato le varie, disomogenee revisioni dentro un unico dilemma, un secco sì o no, mentre lo spacchettamento dei quesiti avrebbe sdrammatizzato il referendum e messo al riparo il suo autore. Ora, purtroppo, le dimissioni di Renzi e la crisi che si apre non sono l’unica conseguenza della vittoria dei No. Con la Costituzione immutata continueremo ad avere frotte di decreti legge e contenziosi tra Stato e Regioni, non ci saranno referendum propositivi, e neppure, si rassegnino Grillo e Salvini, sulla Nato e l’Unione Europea mentre resuscitano le provincie e il Cnel. Quanto a superare il bicameralismo paritario potremmo, con sano pragmatismo, prendere esempio dall’America dove un semplice accordo tra i presidenti del Senato e del Congresso regola la distribuzione delle competenze.