Scissione Pd, lo strappo fa tremare il governo Gentiloni

Salta il documento di sostengo al premier voluto dalla minoranza Pd, sì alla scissione. Renzi: "No ai ricatti"

Paolo Gentiloni e Matteo Renzi (Imagoeconomica)

Paolo Gentiloni e Matteo Renzi (Imagoeconomica)

Roma, 20 febbraio 2017 - Una delle immagini più evocative la usa Dario Franceschini, protagonista dell’ultima mediazione (fallita) anti-scissione: "Dovremmo essere qui a rivendicare i risultati della legislatura. Non si può segare la gamba su cui si tiene il governo, ovvero il Pd". Perché se la scissione si farà, come tutto fa pensare, ne potrebbe risentire proprio il governo Gentiloni. E pensare che la minoranza dem aveva chiesto – tra le voci della trattativa – un documento di sostegno fino a fine legislatura, il 2018. Ma Renzi di date non ne ha voluto sapere. La prima conseguenza della scissione sarà a livello parlamentare la nascita di gruppi distinti da quelli del Pd: i numeri ci sono perché bastano 10 senatori a Palazzo Madama e 20 deputati a Montecitorio. Quale sarà la linea di questi gruppi? Qui le valutazioni sono diverse. Da un lato, infatti, ci sono le ultime settimane nelle quali la minoranza dem ha ribadito in tutte le salse la necessità di condurre in porto la legislatura ottenendo così tutto il tempo per un congresso ‘lungo’. Dall’altro, però, la stessa minoranza, all’indomani della nascita del governo Gentiloni aveva chiesto una maggiore discontinuità riservandosi di votare «provvedimento per provvedimento".   Ieri Renzi ha bollato come "un errore allucinante trasformare il congresso in un congresso sul governo". Sabato sera, nell’ultima offerta per ricomporre la frattura – una fase programmatica, come chiesto dalla minoranza, da inizio congresso alla presentazione delle candidature – il presidente Matteo Orfini ha definito "incomprensibile" la tesi della "scissione nel nome del governo". Perché "si uscirebbe dal Pd – che vota la fiducia al governo – per fondare un nuovo partito con forze che contrastano duramente Gentiloni. Così lo si metterebbe a rischio". Certo è che, sulle questioni sociali, Roberto Speranza, leader di Sinistra dem, ha chiesto di correggere almeno "due errori": una parte del Jobs Act – a cominciare dai voucher – e la stessa riforma della Buona scuola, "che ci ha messo in rotta di collisione con larga parte di insegnanti e studenti". 

 image Due provvedimenti molto cari all’ex premier Matteo Renzi e sui quali il governo Gentiloni si è mosso con molta cautela. Ma c’è qualcosa di più. Chi se lo scorda il tweet di Michele Emiliano che commentava un emendamento al dl banche: "Siamo anche il partito dei golfisti, non solo dei banchieri e dei petrolieri…". Sostituire la parola ‘partito’ con ‘governo’ è fin troppo facile. Infine, c’è la questione della legge elettorale per la quale la minoranza chiede un lavoro parlamentare, per rendere omogenee le leggi per Camera e Senato, che non sarà brevissimo. Almeno non abbastanza per un eventuale voto in autunno, ipotesi che Renzi non avrebbe messo da parte. 

FOTO Le immagini simbolo dell'assemblea