Mercoledì 24 Aprile 2024

Pd, Emiliano fa slittare l'addio. Scissionisti divisi anche sul nome

Pesa il tira e molla del governatore. Spunta l'acronimo Uel: no di Rossi. La telefonata di Orfini con la richiesta di primarie il 7 maggio ha azzoppato tutto. Letta: "Non può finire così"

Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza (Ansa)

Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza (Ansa)

Roma, 21 febbraio 2017 - Non c'è un singolo esponente bersaniano che ammetta di condividere il tira e molla di Emiliano. L’indice di sgradimento per il governatore pugliese oscilla tra l’aperta contrarietà di Enrico Rossi e la larvata irritazione di tutti gli altri. E tuttavia, la sua presenza cambia: di sicuro, cambia le carte in tavola proprio per il governatore toscano, che in consiglio regionale – composto da renziani di ferro – è debole. Ragion per cui la scissione è fatta – assicurano – ma l’annuncio ufficiale non arriva: oltre ai dubbi sul terzo tenore, resta una residua speranza che nella notte possa accadere qualche miracolo. Anche se la telefonata ufficiale del presidente del Pd Orfini a tutti e tre con la proposta del 7 maggio per le primarie in sostanza ha tarpato le ali a qualsiasi sogno.    Peraltro: la replica di Renzi – inutilmente attesa in assemblea nazionale – non ci sarà nemmeno questa volta. A meno di colpi di scena, infatti, il segretario dimissionario diserterà la direzione convocata nel pomeriggio per la nomina della commissione congressuale. Come faranno gli otto componenti dell’area bersaniana e lo stesso Rossi, che annuncia restituirà la tessera Pd. «Se il congresso è il gioco delle figurine – ripete Speranza – io non ci sto». I renziani se la ridono sotto i baffi, facendo circolare un sondaggio Masia sulle intenzioni di voto alle primarie che vede Matteo stravincere la gara (Emiliano avrebbe solo l’11,7% dei consensi, Rossi l’8,3% e Speranza il 6,5%). Ora, resta da vedere come la minoranza intende procedere: di sicuro, spiegano da quelle parti, la mossa del guardasigilli Orlando che ipotizza una sua candidatura per “unire” cambia le carte in tavola «è fuori tempo massimo». Domani alla Camera è prevista la fiducia sul mille proroghe contro il quale gli scissionisti hanno fatto una battaglia continua. Il primo atto del nuovo soggetto che si propone di essere la guardia armata del governo non può certo essere il voto contrario, ragion per cui il varo dei gruppi viene rinviato alla prossima settimana, anche se i più ottimisti non disperano di farlo entro questo week-end. Una fedeltà a Gentiloni tutta da verificare qualora ci fosse da votare una manovra lacrime e sangue in autunno: ragion per cui tra i fans del voto anticipato c’è chi scommette che a giugno si andrà a votare per non andare a sbattere qualche mese dopo.    Nel frattempo, è aperta la partita sul nome: Rossi spinge perché ci sia la parola «socialisti», i bersaniani quella “Lavoro”, altri puntano le fiches su Uguaglianza e libertà per il centrosinistra (l’acronimo Uel per alcuni lascia a desiderare). Quanto alla consistenza dei gruppi, è tutta da verificare: prima di tutto, perché le trattative sono ancora in corso. E poi, perché i parlamentari stanno valutando il da farsi: qualora non si mettesse mano al sistema elettorale forse per molti sarebbe più conveniente restare nel Pd. Secondo le simulazioni che girano a Largo del Nazareno, infatti, una forza accreditata dai sondaggisti del 5-7 per cento a fatica porterebbe qualche senatore a Palazzo madama, e alla Camera avrebbe 20-25 deputati. Allo stato c’è chi prevede 12-15 scissionisti al Senato e 20-25 a Montecitorio, cui ovviamente vanno aggiunti i fuoriusciti di SI.  Di fronte a questo quadro, l’ex premier Enrico Letta – sbotta: «Mai avrei pensato a una simile parabola». Cuperlo insiste: «C’è ancora uno spiraglio, tocca a Renzi allargo». E D’Alema cerca di scrollarsi di dosso l’etichetta di signore oscuro di tutta l’operazione scissionista: «È imbecille chi dice che sia io il regista della scissione del Partito Democratico. Se ci sarà, questa scelta sarà fatta da Emiliano, Rossi e Speranza».