Complotto per disarcionare Renzi. "Il voto in Sicilia farà crollare tutto"

Ministri ed ex premier pronti a fargliela pagare. Rischio scissione bis

 Matteo Renzi (Ansa)

Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 27 ottobre 2017 - Due ministri. Dario Franceschini, capo di Area dem, e Andrea Orlando, capo di Dems (i due nomi si assomigliano curiosamente). Sono considerati, dal leader del Pd, Matteo Renzi, il primo alla stregua di un traditore seriale e un infingardo; il secondo un oppositore leale ma cattivo: di certo, due «pronti a tradirmi». Poi due ex premier. Romano Prodi ha piazzato la sua tenda prima «lontano» dal Pd e poi l’ha arrotolata nello zaino portandosela via: domani manderà un video alla reunion di Della Vedova e Bonino che, in nome dello slogan ‘Forza Europa’, vogliono dar vita a una sorta di ‘Lista civica nazionale’ che ricorda tanto un Ulivo 2.0. Ed Enrico Letta: medita «vendetta, tremenda vendetta» da Parigi, cioè da lontano, in teoria, ma qualcuno, nel Pd, lo vedrebbe bene come neo-leader di un ‘nuovo Ulivo’ o premier di futuri governi col Pd. Un ex Padre Fondatore del Pd, Walter Veltroni, che pure aveva fornito i suoi consigli a Renzi, ma che se n’è subito e assai pentito e che ora, come pure Piero Fassino, scuote la testa sconsolato. A tal punto che i pochi parlamentari che gli sono rimasti vicini ormai si adontano ogni volta che Renzi parla.

«Vuole fare la campagna elettorale come se stesse all’opposizione – dice Giorgio Tonini, sfogandosi con un collega, alla fine del voto al Senato – e questo è inaccettabile: manca di rispetto a Gentiloni come a noi!». E un lungo stuolo di deputati e senatori di tutte le aree: sanno di non avere chance alle Politiche perché, grazie al Rosatellum, «Renzi metterà tutti i suoi fedelissimi nei collegi blindati e a noi darà le briciole»: non vedono l’ora di fargliela pagare anche loro. E un premier attuale, Gentiloni, con cui i rapporti si sono fatti gelidi per la nomina di Visco e non solo (Rosatellum, Ius soli, Stabilità).

Ecco sono queste le forze che starebbero alla base del ‘complotto’ per disarcionare Renzi il prima possibile scalzandolo di certo da candidato premier e, se possibile, anche da segretario. C’è pure la data: dopo il 6 novembre quando «verrà giù tutto, Renzi perderà e ‘noi’ scenderemo in campo», profetizza l’ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, intendendo per ‘noi’ la ‘carne viva’ degli ex Pci-Pds-Ds, non certo Mdp («Se osa scrivere che sto con quelli la querelo!»). Il compluttuni, però, va detto così, in dialetto siciliano, perché sarà il 6 novembre che arriveranno i risultati delle elezioni regionali. Il candidato del Pd, Fabrizio Micari, imposto dal sindaco della città, Leoluca Orlando, andrà «male, forse malissimo», prevedono tutti. Di sicuro si piazzerà terzo, a larga distanza dal probabile vincitore, Musumeci (centrodestra) o Cancelleri (M5S). Il guaio – temono i dem – è che «Fava (il candidato di Mdp-SI, ndr) può doppiarlo». Una sconfitta di Micari e un Pd esangue, al 10-15%, sarebbe una tragedia non solo locale, ma dalle pesanti ripercussioni nazionali. C’è un solo, piccolo, particolare: per disarcionare il leader Pd bisogna avere, in Direzione nazionale prima e in Assemblea poi, il 51% dei voti del partito (cifra che i renziani superano abbondantemente). Non a caso le liste le hanno fatte Guerini e Lotti, due fedelissimi: Renzi non rischia nulla. Tranne un’altra scissione.