Martedì 23 Aprile 2024

Mattarella ferma Renzi, niente voto. E lui sfida: governo di tutti o niente

Il Colle avverte il premier: serve una nuova legge elettorale

Mattarella e Renzi (Ansa)

Mattarella e Renzi (Ansa)

Roma, 7 dicembre 2016 - È una porta strettissima, ma Renzi vorrebbe passarci dentro. «Andiamo alle urne: sarà un confronto tra Grillo e me». Sta insistendo molto col Quirinale per andare al voto il più presto possibile. Se non a febbraio, come anticipato ieri da Alfano, almeno a marzo: qualcuno ieri azzardava il 12 marzo. Solo che sulla via che lì conduce sono apparsi due enormi ostacoli che rischiano di scatenare un faticoso braccio di ferro istituzionale di cui già ieri si sono avute le prime avvisaglie. Il primo è stato messo dalla Consulta, che ha individuato nel 24 gennaio il giorno in cui si decideranno le sorti dell’Italicum. E questo significa che ci vorrà almeno un mese e mezzo per sapere con quale sistema elettorale la Camera andrà alle urne: siccome la legge prevede una forchetta che va dai 45 ai 70 giorni per indire i comizi elettorali, non serve essere geni della matematica per capire che solo ad aprile o a maggio si potrebbe andare a votare. Sempre, peraltro, che la sentenza della Consulta possa essere “autoapplicativa”, ovvero non abbia bisogno di aggiustamenti.    RAGION per cui dentro il Pd e non solo qualcuno ha storto il naso, insinuando che la Corte avrebbe potuto fare un’altra scelta, qualcuno ha adombrato un intervento del Colle che, in realtà, raccontano, si è dato da fare per anticipare la data che il presidente della Consulta era orientato a fissare in febbraio. L’altro ostacolo che rischia di far saltare i suoi stessi piani sono le divisioni dentro il Pd: di andare a votare subito – cancellando la possibilità di fare un congresso, al limite solo primarie con un un’assemblea nazionale a ratificare il candidato premier – è parte del partito, compresi certi esponenti della maggioranza come Franceschini, Delrio, Orlando, Guerini che hanno lavorato tutta la giornata per trovare un punto d’incontro su un governo istituzionale/amico/scopo che faccia le due leggi elettorali per Camera e Senato e poi porti al voto in primavera.  Renzi, però, da un lato è determinato a dimettersi (voci parlano di venerdì), dall’altro, è ostile ad altri governi. O meglio, è contrario ad esecutivi in cui sia solo il Pd a pagare pegno, mentre gli avversari – da Berlusconi a Grillo – lo impallinano. Ed è questa la linea che a meno di ripensamenti notturni illustrerà oggi nella direzione del partito: un governo retto da tutti.    MA TANTO il Cavaliere e la destra, quanto i cinquestelle hanno già detto che non ci pensano affatto a farsi coinvolgere in una soluzione destinata nei prossimi mesi a fronteggiare la crisi bancaria e una probabile manovra di aggiustamento chiesta da Bruxelles. In questo caso, il premier si aspetta che il Colle ne prenda atto e – nell’impossibilità di trovare una soluzione condivisa – proponga un governo del presidente a guida presumibilmente di Pietro Grasso che avrebbe l’amaro destino (secondo il copione dei renziani duri e puri) già scritto di non raccogliere la fiducia alle Camere. A quel punto, a Palazzo Chigi resterebbe un Renzi dimissionario per il disbrigo degli affari correnti che porterebbe il Paese al voto. Ma è qui che lo scontro con Mattarella potrebbe esplodere: il presidente della Repubblica non scioglierà mai le Camere finché non ci sarà una legge elettorale. Nasce per questo l’esigenza di un governo che assicuri una transizione ordinata nel rispetto della sovranità del Parlamento, come soluzione obbligata prima che di buon senso. Che potrebbe essere anche a guida Renzi, casomai lui fosse disponibile a ripigliarsi l’incarico. Ne parleranno comunque di persona magari al termine della direzione. Di certo c’è che Mattarella – data la delicatezza della situazione – ha annullato tutti gli impegni odierni a Milano, a cominciare dalla partecipazione alla prima della Madama Butterfly al Teatro la Scala.

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