Giovedì 25 Aprile 2024

Parisi: "Che sconfitta il proporzionale. Serve solo a spartirsi il potere"

Legge elettorale, per l'ex ministro alfiere del sistema maggioritario gli italiani si sono arresi

Arturo Parisi (Fotoschicchi)

Arturo Parisi (Fotoschicchi)

Roma, 19 marzo 2017 - PROFESSOR Arturo Parisi, un sondaggio condotto da Ipr Marketing per il nostro giornale mostra come il 65% degli italiani pensi che l’Italia sia destinata a un futuro di ingovernabilità. Realismo o eccesso di sfiducia? «Quello che è peggio è che nel vostro stesso sondaggio solo il 10%, uno su dieci, riesce a dichiararsi ottimista. Più che realismo o pessimismo – risponde l’ex ministro prodiano – quella che abbiamo difronte è semplicemente una resa. Non capisco come sia possibile rassegnarsi all’idea di un’Italia che va incontro al futuro a mani in alto».

Ma lei ritiene invece realistico che si possa fare qualcosa? «Si deve. È un dovere che interpella ognuno di noi. Ma soprattutto interpella il Parlamento. Anzi, me lo faccia dire, ogni singolo parlamentare. Se i cittadini si sono arresi è perché vedono arresi quelli che qualcosa dovrebbero fare e non la fanno. È bene che ognuno dei nostri rappresentanti prenda coscienza che prima o poi di questa resa qualcuno può chiedergli conto. Personalmente».

Pensa alla legge elettorale? «Innanzitutto a quella. Ora che le riforme sono purtroppo alle nostre spalle è questa scelta che deciderà della forma e del futuro della nostra democrazia».

Crede che si riuscirà a metter mano alla legge elettorale? «Il tempo c’è. Nel 1993 il referendum fu in aprile. Pur all’interno della scelta maggioritaria imposta dalla vittoria del Sì, anche allora le differenze non erano poche. Ma in pochi mesi il Mattarellum venne alla luce». 

Non pensa che alla fine resterà il proporzionale che sembra convenire a tutti? «Guardi che la legge che la Consulta ci ha riaffidato, quella vigente, anche se purtroppo priva di un secondo turno che la potrebbe rendere nitidamente maggioritaria, non è affatto proporzionale».

Come sarebbe? «Le sembra proporzionale una legge che attribuisce alla Camera un premio di 14 punti percentuali a chi raggiunge il 40%, e che al Senato mantiene soglie così pesanti per chi è fuori da una coalizione? La verità è al proporzionale non ci si resta, semmai ci si ritorna. Con un balzo all’indietro di 25 anni. È questo il vicolo nel quale ci stiamo cacciando. Sia che le forze politiche traducano in una regola esplicitamente proporzionale quella che nella testa di troppi è una scelta già fatta, sia che distruggano coi comportamenti quel molto di non proporzionale che è ancora vigente perché ritenuto dalla Consulta compatibile con la Costituzione».

Perché allora si è affermata l’ineluttabilità del proporzionale? «Perché privi della guida forte di un voto popolare, troppi parlamentari hanno dimenticato che il processo politico ha come fine quello di assicurare un governo al Paese e si concentrano solo sulla scelta dei rappresentanti. Cioè a dire sulle regole che assicurano o rendono più probabile il proprio personale ritorno in parlamento. Il ritorno della regola proporzionale dipende dall’affermarsi di una cultura proporzionalista: intanto assicurami la mia porzione. Di quello che ne farò per assicurare il governo di tutti, ne parleremo dopo il voto».

È per questo che la fiducia nei partiti, sempre nel sondaggio Ipr, è al 7%? «È per questo che è così bassa, ma soprattutto è per questo che continua a scendere senza sosta. Perché i cittadini capiscono che nel loro insieme i partiti servono a spartire, ma faticano a capire cosa abbiano a che fare con il governo cioè a dire con la soluzione dei loro problemi. Eppure lo stesso sembra non accadere ai 5 Stelle». 

Col ritorno al proporzionale siamo quindi condannati a un governo di Grande coalizione? «Sarebbe purtroppo inevitabile provarci, ma non per questo riuscirci. Che la coalizione sia grande e grossa a sufficienza, e che il governo riesca a governare è infatti un’altra cosa. Non siamo mica in Germania. È per questo che non possiamo arrenderci. Ogni giorno passato è un giorno perso».

Ma lei, alfiere del maggioritario, quale sistema elettorale preferisce per l’Italia d’oggi? «Il Mattarellum. Una legge nata dalla battaglia condotta con Segni per il maggioritario all’inizio degli anni ’90, la stessa che dopo abbiamo cercato di correggere con lo sfortunato referendum del 1999 e infine di ripristinare raccogliendo in 2 mesi quasi 1 milione e mezzo di firme nel 2011. Una legge che ha consentito la vittoria di coalizioni diverse e grazie ai collegi un più stretto rapporto tra eletti ed elettori».