Mercoledì 24 Aprile 2024

Italicum, oggi la sentenza della Corte Costituzionale

Maggioritario appeso alla Consulta. Quasi certa la cancellazione del ballottaggio, premio in dubbio

L'ex premier Matteo Renzi (Ansa)

L'ex premier Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 24 gennaio 2017 - E DUNQUE oggi la Corte costituzionale sembra orientata a rottamare il fiore all’occhiello delle riforme di Renzi, quella a cui teneva di più: l’Italicum. Il relatore Zanon ieri, durante il cosiddetto preconsiglio, ha indicato due motivi di incostituzionalità: il ballottaggio a cui si accede senza nessuna soglia minima, per cui potrebbe essere conquistato anche da un partito che arrivi primo, ma raccogliendo solo il 25% dei voti. E poi i capilista plurimi, ovvero il fatto che consente ai leader di farsi eleggere in più collegi e sceglierne dopo il voto uno: anche questo è illegittimo per il relatore.

Essendo una sorta di pubblico ministero nel processo istruito contro la legge su richiesta di cinque tribunali, l’opinione di Zanon conterà moltissimo sulla decisione della Corte tanto che nel mondo politico la bocciatura in tutto o in parte dell’Italicum è scontata. L’incognita da sciogliere è fino a che punto si spingerà la Consulta: se si limiterà a cancellare i due pilastri del sistema elettorale renziano oppure se colpirà anche il premio di maggioranza per chi supera il quaranta per cento dei voti, come ieri sera sosteneva qualcuno, togliendo all’ex premier qualsiasi ‘appigliomaggioritario. O ancora si spingerà a scardinare il principio dei capilista bloccati – secondo l’auspicio degli antirenziani più agguerriti – aprendo la strada alle preferenze per tutti. Si saprà questa sera, al termine della camera di consiglio cui dovrebbero prendere parte 13 dei 15 giudici perché Frigo si è dimesso e Criscuolo dovrebbe essere assente per malattia.

VIDEO I dubbi all'esame della Consulta

MA I PARTITI già sono proiettati sugli effetti della sentenza, e la possibilità che la decisione renda possibile il ricorso immediato alle urne, senza intervento del Parlamento, spacca il Pd. La Lega e i renziani non hanno dubbi: dopo il verdetto, dicono, ci sono le elezioni. «La Consulta non tiri a campare: bisogna votare a maggio con qualsiasi legge», tuona Salvini. Cambiano i toni non la sostanza a sentire i fedelissimi dell’ex premier che avvertono: le leggi di Camera e Senato vanno armonizzate al massimo entro un mese e mezzo, altrimenti si vota con due sistemi differenti. Anche Grillo invoca le urne, però i Cinquestelle sostengono che bisogna fare «comunque» una legge simile a quella della Camera per il Senato. Mentre Forza Italia mena il can per l’aia, i ‘governativi’ del Pd ritengono «indispensabile» un intervento parlamentare. Di fronte a questo scontro tra governo e segreteria Pd, decisiva sarà la posizione di Mattarella, sponsor di un sistema elettorale omogeneo per le due camere. Poi è chiaro: la bilancia può pendere dalla parte di Renzi, se il Cavaliere decide di fargli da sponda: certo, il fatto che lui abbia fatto saltare l’intesa con FI per portare all’Agcom – l’authority che vigila sulla lite tra Vivendi e Mediaset – Vito Di Marco, ex collaboratore del capo dei senatori azzurri Romani, non aiuta.

Ma come stanno le cose? Dalla decisione odierna uscirà una legge applicabile? Dal punto di vista giuridico sì: la Corte – come nota più di un giurista – ha già evidenziato (anche nella sentenza sul Porcellum) che le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie, il paese cioè non può stare nemmeno un giorno senza, dunque dalle sue pronunce scaturisce «per forza» una norma di pronta applicazione. Ciò non significa che, politicamente, sia una buona legge, soprattutto nel combinato disposto con il sistema previsto per il Senato. Ma a fare il passo successivo, quello di rendere coerenti i sistemi elettorali – come indicato dal capo dello Stato – ci deve pensare il Parlamento.