Giovedì 18 Aprile 2024

Dario il corazziere, Graziano il Mosè, 2 pilastri emiliani per Renzi

Franceschini assicura lealtà. Il leader preme su Delrio: "Fai tu il premier"

Matteo Renzi, Graziano Delrio e Dario Franceschini in Senato (Ansa)

Matteo Renzi, Graziano Delrio e Dario Franceschini in Senato (Ansa)

Roma, 8 dicembre 2016 - «Mosé», come lo chiamava Renzi: un mix tra il profeta e il capo scout, tranne, poi, litigarci, raffeddare i rapporti, sempre più difficili, spedirlo dalla presidenza del Consiglio ai Trasporti, stopparne il tentativo di dar vita a una corrente tutta sua, i «cattorenziani». E «Giu-Dario» (Giuda+Dario), come lo chiamano i renziani cattivi anche se non Renzi, che – pur riconoscendone la forza e il peso nel partito – ne ha sempre diffidato («Ha tradito Bersani, ha tradito Letta, prima o poi tradirà me...»). Il destino politico e personale prossimo venturo di Renzi si va consumando di ora in ora tra scenari di governo («governissimo»? «Renzi bis»? Governo in mano a un uomo di fiducia di Renzi?) e scenari di partito (congresso anticipato? Forse, boh, si vedrà...), ma vede, pur se con altre, sempre queste due figure, sullo sfondo.    Il ferrarese Dario Franceschini: classe 1958, una passione, vera, per la scrittura narrativa, una seconda moglie, Michela Di Biase, che dire bella è dire poco, una prima vita nella Dc, poi nel Ppi, una seconda vita nel Pd come vice di Veltroni e segretario reggente, oggi big del Pd a capo di Area dem. E il reggiano Graziano Delrio: classe 1960, cattolico a 36 denti, ramo dossettiano, sindaco di Reggio-Emilia, presidente dell’Anci, 9 figli, ministro con Letta, sottosegretario e poi ministro con Renzi. Sono i due corni della soluzione, oltre che del problema, di Renzi. L’ex premier, ma ancora segretario del Pd, si è dimesso, ma se nel partito c’è chi urla di gioia e brinda, i maggiorenti del Pd – Franceschini e Delrio, in testa a tutti, ma pure Matteo Orfini e Maurizio Martina, leader dei due schieramenti della sinistra riformista – restano al suo fianco. E stanno cercando di aiutarlo a «gestire» al meglio una crisi «al buio» fino ad averlo praticamente «costretto» a cambiare una relazione, quella di ieri in Direzione, che voleva solo dire «al voto, al voto». Stanno con lui perinde ac cadaver, Dario e Graziano, giurano i loro. Ma è così?

Graziano Delrio è tornato il più fedele alleato di Renzi, che gli dice «di te mi fido, solo tu o Paolo (Gentiloni, ndr) potreste fare il premier di un governo dopo il mio per andare presto al voto», ma Graziano recalcitra, dice di no e gli assicura: io voglio starti di fianco, di lato, non davanti, io voglio ricominciare a correre con te per l’Italia. Dario Franceschini, il ministro ai Beni culturali, è il ‘numero 1’ sul banco degli imputati del «giglio magico» (Lotti, Boschi, Bonifazi) che, l’altra sera, si è «attovagliato» nel ristorante romano Il Sostegno (nomen omen) per pianificare la «resistenza a oltranza». I turborenziani «non si fidano» di Franceschini: temono che, esperita e tramontata, in pochi giorni, l’ipotesi «governissimo» a guida Grasso, Franceschini si faccia tentare «dal Demonio». E, cioè, da un incarico esplorativo che gli affiderebbe il Capo dello Stato (Franceschini è un vero «corazziere» di Mattarella e conta su 80/90 parlamentari) per verificare, sulla base dei numeri della stessa maggioranza di Renzi, se sia possibile un ‘post-Renzi’. Un governo ‘a-renziano’ o ‘de-renzizzato’ che, tra un obbligo e l’altro (rifare la legge elettorale, varare una manovrina corretiva a marzo, ospitare il G7 a Taormina a maggio), «finirà per logorarci». 

La cosa curiosa è che diffidenza e ostilità non sono ricambiati, in casa di Area dem, la corrente di Franceschini che invece ama ritrovarsi al ristorante Pesci Fritti, dietro Campo de’ Fiori. «Dario non farà mai nulla contro Matteo», giura un suo fidatissimo colonnello. «Renzi e Franceschini si scambiano telefonate, sms, si vedono e si parlano di continuo, nel rispetto reciproco, in modo anche franco, certo, ma leale», assicura un altro. Ne deriva il concetto, ribadito da tutti i franceschiniani di ogni ordine e grado, che «Franceschini a guidare lui il governo non ci pensa proprio, non vuole sostituire Renzi» o, meglio, come dice chi lavora con lui, «se mai Franceschini sarà premier lo sarà solo perché così ha voluto Renzi, oltre che, ovviamente, Mattarella», di cui Franceschini è «corazziere». «Renzi – ribadiscono a perdifiato gli uomini di Dario – resta il segretario del Pd, ha la nostra piena fiducia, contro e anche senza lui non si fa nulla. Se vuole il Renzi bis lo fa, se vuole indicare un altro uomo di sua fiducia, al governo, lo indica lui». Ma cosa succede nel congresso anticipato? «Un passo alla volta...». Ecco, appunto: «del diman», diceva il de’ Medici, «non v’è certezza».